Image of a worker handling spruce boards at a sawmill with a computer screen

Un taglio netto

Scorri verso il basso

Vi siete mai chiesti come avviene il taglio dell’abete per i top di chitarre? Abbiamo fatto un salto dai nostri amici di Pacific Rim Tonewoods per fare luce sul loro operato e discutere dell’aspetto che assumerà l’abete in futuro.

Il top di una chitarra acustica, detta tavola armonica, è un aspetto cruciale dell’architettura dello strumento. Il nome stesso “tavola armonica” indica l’importanza del ruolo che ricopre, ovvero trasferire l’energia delle corde vibranti della chitarra in un maggiore movimento dell’aria, producendo infine un suono acustico.

“Paragono sempre la tavola armonica al cono di un altoparlante”, afferma Bob Taylor. “È lei la componente che vibra di fatto. Mentre il fondo e le fasce della chitarra sono la cassa dell’altoparlante.”

L’abete è stato per secoli il legno più impiegato per le tavole armoniche degli strumenti a corda, compresi tutti gli quelli della famiglia dei violini, i mandolini e le chitarre acustiche. Lo stesso vale per la tavola armonica dei pianoforti.

Ma cosa lo rende così speciale? Essendo un legno di conifera, l’abete è leggero ma al contempo rigido e resistente al punto giusto, soprattutto se tagliato radialmente (detto anche taglio di quarto), come conviene. Ma questo lo approfondiremo a breve. Il suo ottimo rapporto resistenza/peso, con un elevato grado di elasticità, gli consente di tollerare una notevole tensione delle corde, al contempo tramutando l’energia delle corde vibranti in una risposta tonale nitida e dinamica.

Un top in abete di qualità può essere messo in movimento facilmente con poca forza, ma risponde molto bene anche alle plettrate più aggressive senza perdere la sua chiarezza tonale. È inoltre dotato di una buona proiezione e produce un piacevole sustain. L’abete è usato anche per la catenatura interna delle chitarre, anche quando il top è in un legno rigido come mogano o koa.

Con gli anni, i curiosi possessori di Taylor hanno posto tante domande circa le importanti proprietà dell’abete, le scelte che facciamo nel processo di selezione, e come le differenti caratteristiche fisiche influenzano la risposta tonale.

Negli ultimi anni abbiamo parlato molto di come le tavole armoniche cooperano con l’architettura della catenatura interna della chitarra, specie dopo aver svelato i nostri innovativi design della V-Class e della C-Class. Questi e gli altri motivi di catenatura orchestrano il movimento della tavola armonica in modo molto tenue e lavorano all’unisono col fondo e le fasce per dare voce e una personalità tonale distinta alla chitarra.

Dritti alla fonte: Pacific Rim Tonewoods

Quest’anno, con l’uscita della nostra nuova 814ce Builder’s Edition, l’abete è di nuovo arrivato al centro delle discussioni a causa del top in quattro pezzi, anziché il tradizionale due pezzi. Questa particolare caratteristica di design ci offre l’ottima opportunità di osservare il nostro impiego dell’abete da due prospettive differenti. Per prima cosa, volevamo fare più chiarezza sul processo produttivo di una tavola armonica in abete di qualità; secondo, volevamo contestualizzare meglio l’idea del perché realizziamo top in quattro pezzi, soprattutto alla luce delle realtà in continuo cambiamento degli alberi di abete disponibili al commercio. In entrambi casi, sapevamo perfettamente chi contrattare per entrare così nel dettaglio: i nostri storici partner e fornitori di abete, Pacific Rim Tonewoods (PRT).

Situata a Concrete, nello stato di Washington, nella regione dello Skagit e North Cascades (circa 80 km a sud-est di Bellingham), l’azienda PRT fornisce legni pregiatissimi da più di 35 anni. Qualunque parola non basterebbe a spiegare la sua importanza nel settore di chitarre acustiche. Fornisce gran parte dei top in Sitka e Lutz impiegati sulle chitarre realizzate negli Stati Uniti, per un totale di 300.000-400.000 top annui.

Oltre ai top in abete, PRT fornisce anche set di acero striato (prodotto dalla loro regione) e koa hawaiano per strumenti musicali. A proposito del koa, PRT è anche nostra partner nell’impresa collaborativa Siglo Tonewoods, un’iniziativa di silvicoltura dalle molte sfaccettature che unisce la riforestazione autoctona delle Hawaii con la produzione di koa hawaiano per strumenti musicali volto alle future generazioni di produttori di strumenti.

Avevamo parlato di PRT nella nostra uscita invernale del 2015 (volume 81) per discutere della ricerca innovativa che conduceva con l’acero. Nello specifico, come coltivare acero striato, ideale per gli strumenti musicali.

Steve McMinn, fondatore di PRT, e Bob Taylor sono spiriti affini sotto svariati punti di vista: condividono un’innata curiosità e passione per il proprio lavoro, il desiderio di realizzare prodotti in legno di qualità in modi sempre innovativi e l’impegno per una gestione responsabile delle foreste. Nel corso della loro pluriennale collaborazione, tra cui l’impresa Siglo, entrambi si sono dimostrati lungimiranti e fortemente motivati a investire in prima persona sul futuro dei legni per strumenti musicali.

Costruire una segheria d’eccezione per strumenti musicali

Come descritto nel nostro articolo del 2015, il padre di McMinn era un forestale nel Nord-ovest pacifico, e Steve seguì un percorso simile, lavorando come taglialegna per pagarsi il college e come impiegato di manutenzione nel Servizio dei parchi nazionali in estate, un’attività che favorì ancor di più la sua passione per la salvaguardia ambientale.

L’impegno di McMinn nel rifornimento dei legni per strumenti musicali nacque dopo aver costruito una chitarra da un kit ordinato, e dopo aver notato che la qualità dei legni che aveva ricevuto era inferiore a quella che avrebbe ottenuto da solo. Così iniziò a recuperare degli abeti di Sitka abbattuti dalle intemperie dai terreni del Servizio forestale, in Alaska e Washington. All’inizio si avventurava a piedi nella foresta, tagliava un ceppo d’abete in blocchetti e li infilava nel suo zaino. Apprese anche le proprietà che i liutai ricercavano in una tavola armonica in abete e, gradualmente, rifinì la sua operazione di taglio per offrire un prodotto della miglior qualità.

McMinn propose a Bob Taylor di acquistare dei top in abete con dei set campione presi dal bagagliaio della sua auto a fine anni ’80, come Bob disse a Steve in una recente conversazione alla segheria PRT.

“Mi avevi detto “Se faccio un top così, tu li compreresti?”, e io ti risposi “Alla grande!”, ricorda Bob. “Tu non lo sai, ma rischiavo grosso di non avere dell’abete [per chitarre]. Era sempre più difficile per me ricavarlo.”

Tutto questo quando Taylor produceva solo 4-6 chitarre al giorno.

Il commento di Bob si riferisce al particolare taglio richiesto dall’abete per essere ottimizzato per le richieste prestative di un top.

Diversi decenni dopo, PRT decise di impegnarsi a fornire legni di prima qualità ai produttori di strumenti e, come Taylor e il resto del settore di chitarre, è cresciuta e si è evoluta. Il loro campus ospita oggi nuovi edifici, macchinari e processi, tutti usati per trasformare grossi tronchi in raffinatissime parti per chitarra.

Il team di PRT si sta spingendo oltre con una ricerca pionieristica per scoprire come l’abete produce un sound acustico, identificare i ruoli dei suoi attributi quali rigidità, densità e smorzamento, e quantificare tali proprietà di modo da valutare il legno in base alla sua performance sonora prevedibile.

Steve afferma che i top valutati da un punto di visto sonoro hanno il valore aggiunto di poter indirizzare il legno adatto alle chitarre più indicate in base alle proprietà sonore, anziché in base a un aspetto puramente estetico. O meglio, come dice sempre Steve, “Allontaniamo la gente dalla tirannia degli occhi.”

Per gli appassionati di chitarre, fare un salto nel campus di PRT per toccare con mano l’unione di abilità e cura che dà vita ai loro progetti, permette di apprezzare ancora di più tutto il processo di produzione di legni volti al settore musicale. Ed è per questo che abbiamo voluto andarci e mettere in risalto il loro operato.

A metà marzo, mi sono recato a Concrete per due giorni insieme a Bob Taylor, Scott Paul (il nostro direttore della sostenibilità delle risorse naturali) e Craig Evans (direttore marketing di Taylor). Lì abbiamo incontrato il produttore video Gabriel O’Brien e un altro cameraman, Chris Lallier, per documentare il tutto.

Gabriel e Chris hanno passato un giorno con Eric Warner, direttore generale, socio e braccio destro di Steve, il quale ha illustrato loro il processo di trasformazione dei tronchi di abete in top di chitarra con l’aiuto di due esperti: il responsabile acquisti e operatore dei macchinari Justin El-Smeirat e il segantino Derrick Schmidt. Il programma principale del secondo giorno era registrare una discussione a tavola rotonda con Bob, Scott, Steve ed Eric su svariati punti dell’uso dell’abete per top di chitarra.

Si è parlato di dove e come PRT seleziona i tronchi di abete, perché l’abete è così adatto ai top di strumenti a corda, quali caratteristiche ricercano, come tagliare i top, l’importanza dei pezzi tagliati radialmente e le abilità che PRT apporta al processo.

Eric Warner e Scott Paul hanno inoltre preso parola quando la conversazione è passata alla disponibilità in costante cambiamento del Sitka e perché tagliare top in quattro pezzi sarà indispensabile per i produttori di chitarre. Bob, Steve, Scott ed Eric hanno parlato di com’è avere a che fare con alberi più piccoli e giovani (80-120 anni) anziché le specie più grandi e invecchiate (250 anni in su) che tutti hanno usato per secoli, e dell’importanza dell’adattabilità nel taglio del legno e nella produzione di chitarre.

La conversazione, oltre allo sguardo più dettagliato al processo di taglio, è stata editata in seguito e separata in quattro sezioni, che illustriamo qui di seguito.

Parte 1: Caccia a un buon legno per top

Bob Taylor e Steve McMinn parlano di come Pacific Rim Tonewoods è diventata un’azienda leader del settore che fornisce abete ai produttori di strumenti, delle caratteristiche che ricerca nei tronchi di abete per top, e dei modi migliori per tagliare l’abete che diventerà poi una tavola armonica. Il responsabile acquisti e operatore di PRT Justin El-Smeirat spiega anche i processi di produzione e trasporto dei tronchi di abete, quali caratteristiche l’azienda ricerca, e come valuta e taglia un tronco per ricavarne il massimo valore.

Parte 2: La bellezza dell’abete

Steve McMinn spiega nel dettaglio perché l’abete è un’ottima scelta per i top di chitarra. Abbiamo incontrato Justin El-Smeirat presso uno dei suoi macchinari, dove ci ha mostrato come separare un tronco d’abete in blocchi per massimizzarne il rendimento. Eric Warner spiega che realizzare top in quattro pezzi permette a PRT di trarre più valore da un tronco. Ed Eric entra nella segheria per mostrarci i blocchi di abete tagliati radialmente in tavole con una tagliatronchi, evitando i difetti nel blocco. Saranno i difetti a farci capire se ricavarne un top a due pezzi per dreadnought, o un top a quattro pezzi. E tra i vari tagli per la tavola, realizzano i tagli per le catenature.

Parte 3: Trovare il miglior abete per chitarre

Steve McMinn ed Eric Warner parlano del loro nuovo “ingrediente segreto”, una tecnologia di valutazione sonora che permette loro di misurare e suddividere l’abete in base ad attributi come densità, rigidità e smorzamento. Questo aiuta a predire le proprietà nella performance sonora in modo da offrire ai produttori di chitarre una maggiore prevedibilità e coerenza. Anche Steve e Bob Taylor parlano del valore di un taglio radiale preciso e spiegano perché preferiscono l’abete a grana larga. In segheria, Eric ci mostra come vengono rifinite le tavole per i top in quattro pezzi e ci spiega in che modo queste tavole diventano top o catenature, mentre il segantino perfeziona i difetti del legno.

Parte 4: Una foresta in cambiamento

Bob Taylor, Steve McMinn, Scott Paul ed Eric Warner discutono della disponibilità commerciale in costante diminuzione degli abeti grandi e più invecchiati, e spiegano che produrre alberi di diametro ridotto permette di tagliare più set di top in quattro pezzi. Malgrado questo implichi più lavoro sia nel taglio del top che nella realizzazione della chitarra, questa procedura garantisce anche certi benefici come la possibilità di usare più legno da un solo tronco e creare una struttura granulare ancora più consistente con i top. Bob e Steve parlano delle loro intenzioni di adattarsi alle risorse disponibili in modo da rispettare la foresta e continuare a servire i musicisti senza scendere a compromessi.

Guitar designer Andy Powers plays a light blue Powers Electric guitar in a luthier's workshop

Progetto passione

Scorri verso il basso

Andy Powers ha un nuovo bel passatempo: una chitarra elettrica. E non è una Taylor.

Sono passati alcuni anni da quando Andy Powers ha messo il suo nome sulla paletta di una chitarra.

Quando entrò a far parte di Taylor Guitars nel 2011, Andy chiuse ufficialmente la sua attività di fiorente costruttore di strumenti personalizzati, tra cui acustiche flattop, chitarre archtop, mandolini, ukulele e chitarre elettriche. Questa varietà testimonia il suo amore onnivoro e la sua esperienza nella creazione di una vasta gamma di strumenti musicali.

Fin dal suo arrivo, Andy si è concentrato sul miglioramento del design delle chitarre acustiche Taylor, producendo una serie di innovazioni per migliorare il tono, come il l’incatenatura V-Class, oltre a molti modelli premiati. Ma quello che i fan di Taylor forse non sanno è quanto la vita di Andy sia profondamente radicata nel mondo delle chitarre elettriche.

Le cose, però, stanno per cambiare.

A nome di Andy, abbiamo voluto condividere i frutti del suo nuovo ed entusiasmante progetto solista: una linea di chitarre elettriche chiamata Powers Electric.

Prima di tutto, mettiamo le cose in chiaro: questa non è una chitarra Taylor. È un’elettrica pura, con un design e un’identità musicale propri, una chitarra che attualmente può essere realizzata solo da Andy e da pochi liutai selezionati, e in numero molto ridotto. Andy la chiama affettuosamente la sua chitarra da laboratorio per il design personale che rappresenta: la chitarra elettrica dei suoi sogni.

I co-fondatori della Taylor, Bob Taylor e Kurt Listug, hanno incoraggiato Andy a portare avanti il progetto. E hanno convenuto che, affinché potesse esprimere al meglio la sua visione, Andy doveva avere la libertà creativa di costruirla al di fuori del linguaggio di design consolidato del marchio Taylor.

Naturalmente, siamo entusiasti di condividere ciò che ha realizzato. Andy crede che nella categoria delle chitarre elettriche ci sia spazio per qualcosa di unico e noi crediamo che abbia creato qualcosa di speciale.

Prima di svelare qualcosa in più sulla chitarra, potrebbe essere utile chiarire come il background di Andy abbia influenzato il suo approccio al design.

Un amore precoce per le elettriche


Da bambino, la prima volta che Andy ha avuto a che fare con una chitarra è stata un’acustica a portata di mano nella casa di famiglia. Tra un padre abile falegname e una madre artista, c’erano molti stimoli (e legno in eccesso) a costruire cose, il che spinse il bambino precoce a tentare di costruire la sua prima chitarra acustica prima ancora di aver compiuto 10 anni. Con il senno di poi, osserva che il risultato grezzo poteva essere definito al massimo come un “oggetto a forma di chitarra”. Ma l’idea di costruire uno strumento gli piaceva.

Come musicista, la prima chitarra che Andy comprò (con l’aiuto dei genitori) fu una Strato usata.

“Mi sono divertito molto con quella chitarra” ricorda. “All’inizio ero ossessionato dal surf rock strumentale dei primi anni ‘60, come i Ventures, e l’ho assorbito prima di passare ai rocker successivi e ai primi musicisti rockabilly, blues e jazz. Credo di non averlo mai abbandonato del tutto.”

Ricorda il potente fascino che le chitarre elettriche suscitavano in lui da adolescente, e lo fanno ancora oggi, con i loro colori audaci, i contorni freddi e l’infinita gamma di sfumature e stati d’animo sonori amplificati che potevano evocare con il semplice tocco di un interruttore o il clic di un pedale.

“Le loro forme, i loro suoni e le loro espressioni sembravano avere una propria gravità, attirando l’attenzione verso di sé” ricorda.

Stato d’animo d’oro


Anche la zona in cui Andy è cresciuto ha contribuito notevolmente alla sua sensibilità creativa: nel nord della contea di San Diego, nella California meridionale. Vivendo vicino all’Oceano Pacifico, Andy si è innamorato del surf in giovane età, una passione che coltiva ancora oggi.

L’atmosfera vivace della California meridionale invitava all’autoespressione e alla sperimentazione.

Lo stile di vita della California del Sud è stato arricchito dalla cultura della regione e dai personaggi anticonformisti che hanno contribuito a formarla. Il surf, lo skateboard, l’hot rodding e le auto d’epoca, la musica, l’arte, l’architettura, il design industriale e altre influenze creative contaminate hanno dato vita a un’atmosfera vivace che invitava all’autoespressione e alla sperimentazione.

Bob Taylor può testimoniare questa sensibilità regionale unica grazie alla sua esperienza di liutaio di chitarre acustiche di San Diego. Infatti, quando anni fa iniziò a pensare a un successore nella costruzione di chitarre (che finì per essere Andy), uno dei suoi criteri essenziali era che la persona fosse anch’essa della zona di San Diego e autodidatta.

“Nella mia vita di liutaio di chitarre, con l’esperienza mi resi conto che era più facile e più accettabile mostrare le nostre chitarre qui in California che sulla East Coast, dove c’era già una ricca storia di liutai” dice Bob. “Inoltre, iniziai a notare le differenze creative dei liutai di chitarre di qui rispetto a quelli di altre zone. Noi eravamo disposti a interrompere la tradizione.”

Per quanto riguarda il design delle chitarre elettriche, la California meridionale è stata il punto di partenza di molte innovazioni. A un’ora circa a nord di dove viveva Andy, i pionieri della chitarra Les Paul, Leo Fender e Paul Bigsby avevano frequentato e parlato della loro attività a casa di Les mentre entravano nella storia della musica con progetti rivoluzionari.

E nel mondo del surf, durante la transizione dalle tradizionali tavole lunghe a tavole più corte e maneggevoli tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70, la California meridionale divenne un epicentro dell’innovazione nel design delle tavole da surf. Come surfista, Andy era attratto dall’estetica delle curve delle tavole da surf e dall’estetica dell’atto stesso di surfare. Con il tempo, trovò un collegamento naturale tra il surf e il fare musica: si possono usare tavole o chitarre diverse per situazioni diverse, e cavalcare un’onda e suonare la chitarra sono atti profondamente espressivi. Con l’attrezzatura giusta, le persone potevano esprimersi in modo fluido e melodico.

Alla ricerca del percorso musicale

Da adolescente, Andy aveva già trovato il suo ritmo nel riparare e costruire strumenti. Prima ancora di avere la patente di guida, era già conosciuto in città come un abile riparatore di strumenti, che lavorava con negozi di musica locali e clienti privati quando non faceva surf o non suonava nelle band con gli amici.

Perfezionò i suoi strumenti al college presso la University of California, a San Diego (situata casualmente vicino a uno dei suoi spot preferiti per il surf), dove studiò musica con particolare attenzione alla performance chitarristica. A volte partecipava a concerti jazz dal vivo con alcuni dei suoi professori di musica, mentre continuava a riparare e costruire chitarre, spesso con loro come clienti.

Uno studente di storia della liuteria


Come parte della sua immersione nel restauro e nella costruzione di strumenti, Andy ha assorbito la storia e l’evoluzione del design degli strumenti. Alcuni dei libri più importanti che ha letto nella sua autoformazione sono state le guide di riferimento scritte da George Gruhn, fondatore della Gruhn Guitars di Nashville, considerato uno dei maggiori esperti di design di chitarre vintage americane. Nel corso degli anni, Andy ha stabilito un rapporto con Gruhn e, soprattutto da quando Andy è diventato il principale architetto del design di Taylor, Gruhn può testimoniare la vasta conoscenza di Andy e, in particolare, la sua capacità di contestualizzare la storia del design della chitarra.

“Se si analizza la progressione del design della chitarra elettrica, si capisce cosa è stato fatto e cosa no, e perché le cose sono cambiate.”

Andy Powers

“Andy è una delle persone più competenti che abbia mai conosciuto nel settore degli strumenti musicali” dice Gruhn. “Capisce il design. Capisce anche la tradizione, la patologia degli strumenti: ciò che non funziona. Quando progetta una nuova chitarra, può guardare ai sistemi evolutivi che l’hanno preceduta.”

I commenti di Gruhn forniscono un utile quadro di riferimento per l’approccio di Andy alla progettazione di una nuova chitarra elettrica (oltre a quella acustica). Come persona che ha suonato, lavorato o studiato molte delle grandi chitarre elettriche degli ultimi 70 anni, ha una conoscenza quasi da erudito della storia del design delle chitarre elettriche.

“Se si analizza la progressione, si impara cosa è stato fatto e cosa no, e perché le cose sono cambiate” dice Andy. “La cosa bella è che si può studiare molto più velocemente di quanto si possa fare in tempo reale. Non ho dovuto aspettare il modello dell’anno successivo perché qualcuno perfezionasse lo strumento.”

Durante una conversazione, Andy può facilmente scivolare nella storia del design della chitarra elettrica descrivendo, per esempio, le iterazioni anno per anno di una Les Paul Standard dal 1952 al 1953 e oltre, annotando quali modifiche sono state apportate e perché. Chiacchierando da un banco di lavoro nel suo studio di progettazione, passa in rassegna con disinvoltura i primi sviluppi delle chitarre elettriche Fender quasi come se fosse stato presente, dal passaggio fondamentale dalle lap steel a una chitarra in stile spagnolo con manico rotondo, all’approccio modulare di Leo Fender al design per rendere le sue chitarre facili da manutenere, alle ragioni della preferenza di Leo per i pick-up single coil.

Andy si diletta a fare il nerd su queste cose, non per pavoneggiarsi delle sue conoscenze, ma perché ama veramente assorbire e parlare del pensiero, della risoluzione creativa dei problemi e dell’approccio per tentativi ed errori che hanno portato alla progettazione di chitarre elettriche. O di auto d’epoca. O di tavole da surf.

Definire la sua chitarra elettrica


Tecnicamente, si potrebbe dire che Andy ha pensato a questa nuova chitarra elettrica per la maggior parte della sua vita. Il suo impulso a progettare un nuovo tipo di chitarra elettrica è nato da una semplice verità pratica: sebbene abbia suonato, posseduto e riparato un sacco di grandi chitarre elettriche, e abbia amato diverse caratteristiche di molte di esse, la chitarra che desiderava, una chitarra che rispondesse a tutte le sue esigenze, non esisteva.

“Volevo un suono e un feeling che non avevo” dice. “Volevo qualcosa che condividesse le ispirazioni dei costruttori del passato, ma che fosse creato per un contesto più moderno. Per me significava creare un progetto nuovo da zero, basato su decenni di lavoro e di studio.”

Era ben consapevole delle caratteristiche di design che definivano altre chitarre e ha sfidato intenzionalmente se stesso ad abbracciare un approccio diverso.

“Ci sono elementi che esistono già su altre chitarre per una buona ragione: si adattano a quelle chitarre uniche” dice. “Questa chitarra doveva essere una nuova creazione quindi, per certi versi, si è tentato di escludere deliberatamente delle cose che si sa che funzionano già, per ricercare una direzione nuova.”

“Volevo qualcosa che condividesse le ispirazioni dei liutai del passato, ma che fosse creato per un contesto più moderno.”

Andy Powers

In alcuni casi, ha potuto attingere alle idee pionieristiche dei primi pick-up elettrici, limitate dai materiali dell’epoca, per riapplicarle, decenni dopo, in un contesto più moderno, basato su nuovi materiali o tecnologie.

Non un design Taylor

Un vincolo che si sarebbe rivelato liberatorio era il modo in cui la sua chitarra avrebbe potuto, o meno, relazionarsi con l’identità del design Taylor, in particolare con la T5z. Dopotutto, Andy è il principale architetto di chitarre di Taylor. E stava già lavorando per indirizzare il design della T5z verso un’estetica e una personalità più elettriche. Inizialmente, quindi, ha cominciato a concepire questa nuova chitarra all’interno di un quadro stilistico affine. Realizzò alcuni primi prototipi che vantavano un design innovativo dei pick-up e altre caratteristiche, cercando di renderla in qualche modo compatibile con l’identità del marchio Taylor. Ma i suoi sforzi per preservare un certo legame con la famiglia sembrarono limitare il potenziale della chitarra, come spiega Kurt Listug nella sua rubrica di questo numero.

Ho detto a Andy che la chitarra era ben progettata, ben fatta e attraente in termini estetici, ma era sbagliata” racconta Kurt. “Gli ho suggerito di costruirsi la chitarra elettrica che voleva davvero.”

Nella sua rubrica, Kurt ricorda anche le lezioni apprese dalla linea di chitarre elettriche solidbody di Taylor, lanciata nel 2008 (prima dell’arrivo di Andy), che ha trovato dei fan devoti, ma non ha mai raggiunto un grande successo. (Dopo diversi anni, la produzione è stata sospesa.) Col senno di poi, dice Kurt, le chitarre non erano adatte al marchio.

“La cultura della chitarra acustica è molto diversa da quella dell’elettrica” afferma. “Il che significa che la chitarra ha bisogno del proprio marchio, del proprio stile e della propria promozione.”

Le idee di Andy per la sua chitarra elettrica ideale erano l’equivalente dell’essere in una band e dell’avere grandi idee per nuove canzoni che semplicemente non erano adatte alla band, ma erano più adatte a un progetto solista separato.

“Come una tavola da surf o una roadster, ogni linea è stata considerata sia per l’aspetto che per la maneggevolezza.”

Andy Powers

L’arrivo della pandemia si è rivelato un catalizzatore per dare vita al progetto, dando a Andy ulteriore tempo per concentrarsi sulla progettazione della chitarra nel suo studio domestico. Con un ritrovato senso di libertà creativa, è stato in grado di riunire tutte le sue idee in modo olistico nella forma e nella funzione.

Premere l’interruttore della Powers Electric

Dopo decenni di studi e sperimentazioni, Andy è pronto a svelare la chitarra elettrica che ha sempre desiderato realizzare, offrendo qualcosa di nuovo (compresi alcuni progetti brevettati) pur mantenendo elementi di familiarità che i chitarristi elettrici apprezzeranno. A parte le meccaniche, le corde, i tasti e qualche altro dettaglio, praticamente tutto è stato disegnato, progettato e costruito da zero in casa. È fortemente caratterizzata dalla sensibilità estetica della California meridionale di Andy, che trae ispirazione dallo spirito innovativo e del fai-da-te delle comunità di surfisti e hot rodding.

“Volevo che il corpo fosse bello da qualsiasi angolo si guardi” dice Andy. “Volevo una forma asimmetrica senza sacrificare l’equilibrio visivo. Volevo uno stile senza tempo con abbellimenti moderni. Come in una tavola da surf o in una roadster, ogni linea è stata considerata sia per l’aspetto che per la maneggevolezza.”

Il design hollowbody, completamente chiuso e sottile, presenta un’esclusiva anima interna che massimizza la risonanza e il sostegno, sopprimendo il feedback.

La vivace tavolozza di colori dei corpi si ispira in gran parte ai colori memorabili utilizzati sulle auto d’epoca. Tra le altre caratteristiche del design di proprietà si annoverano le due diverse opzioni di pick-up, un sistema tremolo/vibrato appositamente progettato con una “cordiera ad albero a camme” che consente ai musicisti di mantenere un’intonazione relativa più precisa tra le note quando si usa il vibrato e di piegare le corde senza cali di intonazione, un raggio della tastiera asimmetrico e manopole di controllo colorate (realizzate in casa) fatte di strati di resina per tavole da surf, ispirate alle opere d’arte create dall’amico di Andy, il costruttore di tavole da surf Josh Martin. Anche la custodia ha un design unico, splendidamente realizzata con gli stessi materiali di rivestimento delle auto Porsche classiche.

Preferiamo dare a Andy uno spazio tutto suo per presentare il suo nuovo marchio di chitarre, quindi vi invitiamo a visitare il sito Powerselectricguitars.com o Instagram (@powerselectricguitars), dove potrete ammirare l’estetica straordinaria della linea di chitarre, conoscere tutte le caratteristiche uniche delle prestazioni e osservare Andy e altri suonare e parlare della chitarra.

Dopo mesi di beta testing con alcuni dei più importanti esponenti dell’industria musicale, tra cui eventi di presentazione a Los Angeles, New York e Nashville, il marchio Powers Electric Guitars è stato lanciato ufficialmente a metà giugno con un primo lotto di circa 30 chitarre. Non si tratta di una chitarra che sarà presto disponibile in quantità significative: solo Andy e un piccolo team di artigiani sono in grado di costruirle e all’inizio saranno vendute esclusivamente attraverso una rete selezionata di otto rivenditori Powers Electric.

L’elenco completo dei rivenditori è disponibile su Powerselectricguitars.com. È inoltre possibile iscriversi alla mailing list di Powers Electric, che vi permetterà di conoscere tutti gli ultimi sviluppi, compresa l’uscita di ogni nuovo lotto di chitarre.

Siamo convinti che quello che vedrete e sentirete vi piacerà. A Andy di sicuro piace.

Le lezioni di chitarra di Wood&Steel

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Taylor Gamble ritorna con tre lezioni sull’utilizzo degli armonici per aggiungere colore alle proprie composizioni.

Di Taylor Gamble

Benvenuti alla nuova edizione delle lezioni di chitarra di Wood&Steel con il turnista ed educatore musicale Taylor Gamble.

In queste lezioni, Taylor mostra una tecnica all’apparenza semplice che può essere ben applicata a tutti gli stili di esecuzione: gli armonici. Con il loro bellissimo suono che ricorda una campana, gli armonici sono utili come accenti creativi nel vostro modo di suonare, ma possono anche essere riutilizzati negli accordi e negli arrangiamenti fingerstyle.

Beginner: Intro to Harmonics

Taylor inizia la lezione con una dimostrazione di come suonare dei basilari armonici aperti sui tasti quinto, settimo e dodicesimo, e anche dove pizzicare le corde a seconda dell’armonico desiderato.

Intermediate: Open Harmonics and Chords

Poi, Taylor mostra come incorporare gli armonici negli accordi, aggiungendo una straordinaria texture inaspettata al proprio stile di esecuzione.

Advanced: Fretted Harmonics

Infine, affronta gli armonici artificiali avanzati, una tecnica più complessa per produrre una risposta più simile all’arpa virtualmente su ogni posizione sulla tastiera.

Controllate il prossimo numero per altre lezioni di chitarra Wood&Steel!

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Là dove le canzoni sono sacre

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Nello storico Bluebird Café di Nashville, la composizione è sempre la star dello show.

Nashville è rinomata per essere la capitale mondiale del country. Può pertanto sembrare strano che la mecca dei compositori country di Music City sia una minuscola sala d’ascolto nascosta in una fila di vetrine di piccole attività in uno strip mall periferico e alquanto indistinto.

Parliamo del leggendario Bluebird Café, fondato nel 1982 e ancora nella sua posizione originaria di Green Hills, circa 15 km a sud rispetto al luminoso flusso di turisti che caratterizza i bar e i club centrali di Nashville sulla bassa Broadway e rispetto all’iconico Ryman Auditorium.

“Si dice che gli artisti country abbiano il Ryman, mentre ai compositori spetta il Bluebird”, afferma Erika Wollam Nichols, direttrice operativa e manager generale del Bluebird. Erika iniziò a lavorare al Bluebird come cameriera nel 1984 mentre frequentava il college, due anni dopo che la fondatrice Amy Kurland lo aprì come ristorantino gourmet aperto a pranzo e cena. Erika assistette alla transizione del locale da piccolo ristorante che ospitava musica live occasionalmente a un tempio sacro per compositori e appassionati di country.

“Amy aveva un ragazzo chitarrista”, ricorda Erika. “Lui le chiese di montare un piccolo palco così da poter far suonare i suoi amici. Fu così che iniziò tutto. Quando cominciai qui, c’erano solo band. Non era un posto per compositori.”

Ma quella sala si rivelò troppo piccola per i forti volumi delle band. Una sera, l’agente pensò di organizzare un guitar pull, e il resto è storia.

“Quando Amy entrò quella sera, la sala era del tutto rapita dai brani”, dice Erika. “Vide anche che la cassa aveva battuto più scontrini che mai. Disse, forse questa cosa coi compositori può essere interessante.”

Per vari motivi, l’arredamento interno casalingo e invariato del Bluebird, con le sue sedie in legno consunte, le tovaglie in vinile, la tappezzeria consumata, il controsoffitto a quadrotti e la parete con le foto autografate di musicisti passati, vi attribuiscono quell’aspetto pittoresco e retrò che sottolinea il poco interesse nell’inseguire gli stili in voga. Con meno di 90 posti a sedere e con concerti “in the round”, eseguiti col palco al centro e il pubblico seduto intorno a esso di modo che i musicisti possano poggiare i propri drink sui tavoli dei clienti, il locale ha tenuto fede alla propria mission di celebrare i compositori country e la loro arte fornendo un ambiente intimo in cui mostrare il proprio materiale originale e connettersi col pubblico.

“Ho visto Vince Gill passare la sua chitarra a un tavolo accanto a lui”, dice Erika.

Se ti interessa immergerti nella ricca storia del Bluebird e del suo importante contributo per la comunità di compositori di Nashville, guarda l’eccezionale documentario Bluebird (An Accidental Landmark That Changed Music History) del 2019. Il film ripercorre l’evoluzione del locale in uno showroom dedicato ai compositori che ha favorito il successo di innumerevoli scrittori e artisti come Kathy Mattea, Garth Brooks, Faith Hill, Keith Urban, Taylor Swift e altri. Ad arricchire il documentario troviamo una schiera di compositori di successo, artisti da live, il personale del Bluebird e altri che raccontano storie su come il music club sia diventato una parte fondamentale nell’ecosistema musicale di Nashville.

Guarda il trailer del documentario Bluebird

Una collaborazione con Taylor per supportare lo sviluppo dei compositori

Qualche anno fa, Taylor Guitars ebbe l’opportunità di avviare una collaborazione con il Bluebird. Nonostante il club sia alquanto selettivo quanto alle sue partnership, Erika e Tim Godwin, direttore delle relazioni con gli artisti e dell’intrattenimento Taylor, hanno riconosciuto la passione condivisa dal Bluebird e da Taylor nell’aiutare i compositori a progredire nella propria arte.

“Quando pensavamo alla nostra collaborazione con Taylor”, spiega Erika, “pensammo: cosa potremmo fare insieme che supporti gli obiettivi di Taylor di offrire a musicisti, artisti e compositori l’opportunità di esibirsi, ma che supporti anche il nostro impegno di permettere a chiunque di sviluppare la propria arte?

Da ex musicista professionista e appassionato di composizione eccelsa, Godwin ammette che aver assistito a vari live nel Bluebird nel corso degli anni gli ha istillato un profondo apprezzamento nei confronti dell’ambiente stimolante coltivato dal locale.

“Quello che più mi piace dei live è vedere i testi prendere vita qui”, riferisce. “Quando ascolti un disco, senti tutti gli elementi di produzione, ma qui ci sono solo chitarra e testo, e ti sembra di entrare nel brano. È un’esperienza emozionante sia per chi suona che per chi ascolta.”

“I compositori sono la nobiltà qui, e il nostro compito è fare in modo che la gente lo capisca.”

La nostra partnership decollò ufficialmente nel 2020 sotto forma di contest chiamato Bluebird Golden Pick, che offriva ai compositori un modo per guadagnarsi il tanto agognato spazio per esibirsi durante la Monday Open Mic Night del Bluebird. Ogni cantautore può postare su Instagram una performance video del proprio brano originale per provare a essere eletto a suonare due brani al Bluebird. Verrà eletto un vincitore al mese dal comitato del Bluebird, e ciascun vincitore riceverà anche una chitarra Taylor American Dream e una registrazione video professionale e gratuita della propria esibizione con il brano vincitore presso lo showroom di Taylor a Nashville ai Soundcheck Studios. (Trovi altri dettagli sul contest qui.)

Questo è il quarto anno del contest, e per iniziare la nuova stagione alla grande, alcuni membri del team Taylor di relazioni con gli artisti (tra cui Godwin), la manager di relazioni con gli artisti e con la community Lindsay Love-Bivens, e il produttore video Gabriel O’Brien, si sono recati a Nashville per fare due chiacchiere con Erica e con gli altri sulla storia del Bluebird. Hanno inoltre parlato con due artisti e performer veterani del Bluebird che hanno presentato i famosi show “in the round” del club: Marshall Altman, compositore, produttore e dirigente A&R a Nashville, e il cantautore Dave Barnes.

Per pura fortuna, un duo country emergente con cui Taylor lavora da un po’, Kat & Alex, si era appena esibito alla Open Mic Night del Bluebird per la prima volta, così Tim poté raccogliere le loro impressioni ancora fresche sull’esperienza vissuta.

Un’identità forgiata dal Bluebird

Una componente contestuale rilevante è che storicamente (e per buona parte, anche oggi) molte star country non scrivono tutti i loro brani. Questo ha fatto sì che i compositori divenissero una componente creativa fondamentale nell’industria di Nashville. Ma i compositori non finiscono sotto i riflettori quanto gli artisti che registrano, pertanto di solito non sono molto noti al di fuori del settore. E anni fa non esistevano molti locali dove i compositori potessero esibire il proprio materiale live.

Dopo che, negli anni ’80, il Bluebird iniziò a pensare ai compositori e raggiunse la fama di sala d’ascolto, presto divenne un importante centro per scoprire nuovi brani e talenti di composizione di Nashville.

Erika racconta la storia del Bluebird Cafè

“I responsabili A&R e gli artisti vengono qui per ascoltare brani, e gli artisti possono iniziare a farsi una carriera”, dice Erika. “Kathy Mattea suonava qui regolarmente e ha ottenuto un accordo per un disco. Quando i compositori iniziarono a sentirsi a casa qui, Amy iniziò le audizioni, l’Open Mic e iniziò a concentrarsi non solo sui compositori con brani di successo, ma sull’arte del comporre.”

Un po’ come i comici emergenti di stand-up che migliorano esibendosi con nuovi pezzi davanti a un pubblico dal vivo, così i oggi i compositori hanno una piattaforma live per suonare varie versioni dei propri brani avanti a un pubblico.

“Se sei mai stato in questa sala, sai che è facile capire quando un brano è di qualità. E lo stesso vale con quelli meno buoni, perché vedi gli sguardi del pubblico che reagisce alla musica”, afferma Erika. “Era, ed è tutt’oggi, una sorta di laboratorio in cui i compositori sperimentano nuovo materiale.”

In alcuni casi, il materiale potrebbe essere parecchio nuovo: un brano composto o magari una versione parzialmente completata quello stesso giorno.

In the Round

Il format tipico del Bluebird si chiama “in the round” e prevede diversi compositori che, anziché esibirsi dal palco, siedono insieme al centro della sala, circondati dal pubblico, dove suonano i propri brani o raccontano aneddoti su di essi alternandosi. In un club già di per sé piccolino, questo setup genera uno scambio ancor più intimo tra performer e pubblico.

Il format debuttò nel 1985, quando un gruppo di amici compositori navigati e fedelissimi del Bluebird, Don Schlitz (“The Gambler”), Thom Schuyler (“Love Will Turn You Around”), Fred Knobloch (“A Lover Is Forever”) e Paul Overstreet (“When You Say Nothing At All”), notò che quando si esibivano sul palco, la gente conversava durante i brani. Una sera entrarono e, determinati a mantenere alta l’attenzione del pubblico, Schlitz e Schuyler decisero di montare in mezzo alla sala. Non solo quell’approccio funzionò, ma creò un’esperienza squisitamente immersiva tanto per gli artisti, quanto per gli spettatori.

“Calza perfettamente per la sala”, afferma Erika. “Ti sembra di essere in un salotto. Sono tutti inclusi, e anche se siedi a 10 metri dal tavolo più lontano, sei comunque parte di ciò che accade. Per me offre al pubblico la possibilità di sentirsi parte e di vivere l’industria musicale di Nashville.”

Negli anni, il Bluebird ha sviluppato una gerarchia di vari format per supportare e far progredire gli artisti in vari livelli della propria crescita. Chiunque può iscriversi per la Monday Open Mic Night. Inoltre, tengono delle audizioni quattro volte l’anno per dare la possibilità di suonare la domenica sera alla Writers Night (sei compositori sul palco, ognuno suona tre brani e può accrescere il proprio materiale). E dopo aver suonato in quattro show della domenica sera ed essersi fatti conoscere e apprezzare, diventano idonei per partecipare a una performance in the round con altri due o tre artisti.

Ci sono casi in cui lo show in the round va malissimo se gli artisti non si conoscono, anche se straordinari singolarmente.”

Erika Wollam-Nichols

Erika sostiene che trovare una carrellata convincente per uno show in the round è una forma d’arte a sé.

“Quegli show non sono messi su a caso, c’è tutta una sinergia e un’intenzione alle spalle”, spiega.

Il compositore “principale” può scegliere gli altri artisti che suoneranno al suo fianco. Questo fa sì che ci sia già una forte chimica tra i vari artisti, cosa che fa tutta la differenza.

“Ci sono casi in cui lo show va malissimo se gli artisti non si conoscono, anche se straordinari singolarmente”, confessa Erika. “Restano seduti ad ascoltarsi e basta. Ma se hai quattro compositori insieme che hanno composto insieme, che portano i figli a scuola insieme, che hanno pubblicato con la stessa etichetta e hanno percorso la stessa strada, allora avrai qualcosa che non vedrai da nessun’altra parte. Le loro storie vengono amplificate dalla connessione che hanno tra loro. Ed è questo che il pubblico percepisce in sala.”

L’opinione di Marshall Altman

“Dal punto di vista di un compositore, suonare al Bluebird può essere stimolante e scoraggiante, soprattutto la prima volta”, sostiene Marshall Altman, compositore (Frankie Ballard, Eric Paslay, Cheryl Cole), produttore (Marc Broussard, Walker Hayes, Matt Nathanson) e dirigente A&R (Katy Perry, One Republic, Citizen Cope).

Nonostante il suo passato da musicista live, Altman confessa che la prima volta che suonò in the round al Bluebird fu alquanto snervante, anche perché non era in programma che suonasse.

“Il mio amico [compositore] Rob Hatch si sarebbe sposato quel weekend e c’era un round per lui”, ricorda Altman. “Se non ricordo male c’erano Rob, Dallas Davidson, D. Walt Vincent e Lance Carpenter, quattro grandi nomi. Rob aveva fatto l’addio al celibato la sera prima e non si era ancora ripreso. Io ero seduto a un tavolo vicino con mia moglie Lela e stavano suonando un round fatto solo di successi, una hit dopo l’altra.”

“Dallas Davidson suona “Rain Is a Good Thing,” una grossa hit di Luke Brian, uno dei miei brani country preferiti, D suona “I’m Moving On,” (Rascal Flatts), uno dei miei brani country preferiti di sempre, poi Rob mi guarda e sussurra: Ora faccio entrare te. Devi venire a suonare. Non avevo mai suonato qui. Avevo scritto un solo pezzo country al tempo, d’altronde sono perlopiù autore e produttore pop e rock. Insomma Rob si alza, va in bagno e dice; Marshall prenderà il mio posto. E io suono questo pezzo che avevo scritto con un grande autore chiamato Andrew Dorf. Non provavo tanto nervosismo nel fare qualcosa da molto, molto, molto tempo. Dopo quella volta, per anni mi rifiutai di suonare qui.”

Da allora, Altman ha suonato vari show in the round come artista principale, ma ammette che ogni volta è sempre speciale.

“Poter calcare il palco dove altri autori mi hanno anticipato è una cosa incredibilmente potente”, afferma. “Ogni volta che suono qui, sento l’energia di tutti i compositori, noti e sconosciuti, che hanno suonato in questa sala.”

Secondo lui, un altro elemento che rende speciale l’ambiente del Bluebird è che gran parte dei brani che lui e gli altri compositori scrivono e suonano qui non è mai stata registrata o ascoltata dal pubblico.

“Ogni brano quasi escluso, ma che alla fine è sopravvissuto, fa scomparire il dolore di quel momento”, afferma Altman. “L’apertura, il rispetto e l’affetto che il pubblico, la gente intorno a te, prova per quest’arte sono straordinari. Sono eternamente grato a questa sala, a chi la gestisce, a Erika. È un’oasi dove possiamo condividere ciò a cui abbiamo dedicato le nostre vite da compositori.”

Dave Barnes

Il cantautore Dave Barnes, trasferitosi a Nashville nel 2001 e che negli anni ha presenziato e suonato in numerosi set in the round al Bluebird, sostiene di considerare il locale ancora sacro ogni volta che ci entra.

“Camminare nel retro mi fa sentire un grande”, dice. “Sul serio, dieci minuti fa, appena arrivato qui, mi sono venuti i brividi perché è un posto molto speciale. È un po’ un punto d’inizio per tutta la magia di Nashville per i compositori e tutti gli altri.”

“Secondo me questo luogo fa parte del sapore speciale di Nashville, un sapore che non si trova in nessun’altra città al mondo. Sono molto orgoglioso di farne parte, anche solo suonando dei live o raccontandolo alla gente. È tutto necessario nell’ecosistema di Nashville.”

“Qui siamo come un minuscolo sussurro. Non serve urlare.”

Erika Wollam-Nichols

I volti nel pubblico

Un altro elemento che rende il club un luogo speciale è che non sai mai chi potrebbe sedere nel pubblico ed essere chiamato a suonare. Potrebbe essere il compositore di una hit, ma con una resa acustica originale che enfatizza il testo in modo del tutto diverso e squisitamente personale rispetto alla versione registrata conosciuta da tutti, rivelando dunque l’essenza del brano in un modo più emotivamente significativo.

Oppure potrebbe esserci un’apparizione a sorpresa di artisti del calibro di Ed Sheeran o Taylor Swift, o ancora qualcuno nascosto in un angolino a godersi lo show. Come quella sera in cui Dave Barnes era sul palco e, vedendo la leggenda del fingerstyle Tommy Emmanuel nel pubblico, lo invitò a salire.

“Dissi: Non so se lo sapete, ma questo è Tommy Emmanuel, forse uno dei migliori chitarristi in vita”, ripercorre Barnes. “Così si siede e suona, e ovviamente io proposi di chiudere il round così, perché suonare Sol-Do-Re dopo di lui sarebbe stato una noia mortale”, ricorda ridendo.

Un’opportunità d’oro

La manager del brand e merchandising del Bluebird, Liana Alpino, ha le mani in pasta in vari aspetti operativi del locale, dal marketing ai social media, alla gestione del sito web e alla funzione di contatto con le partnership. Ha ricoperto un importante ruolo nella coordinazione della logistica del contest Golden Pick che il Bluebird e Taylor hanno organizzato negli ultimi anni. Afferma che ciò che rende entusiasmante il contest è che dà ai compositori in crescita la possibilità di ottenere un ambito posto per esibirsi e conoscere altri artisti.

Erika e Liana Alpino del Bluebird parlano della partnership tra Bluebird e Taylor e del Golden Pick Contest

“Abbiamo avuto vincitori da ogni parte del Paese e perfino dal Regno Unito. È straordinario vedere quanti talenti ci sono anche fuori Nashville. Io sono fortunata perché ho potuto conoscere tutti i vincitori quando sono venuti per la loro performance e hanno raccontato di quanto fosse importante per loro. Molti di loro hanno affermato che è questo che li motiva a scrivere ogni giorno. Molte di queste persone che si iscrivono al contest non sono compositori professionisti e nemmeno artisti a tempo pieno. Conducono vite ordinarie… Questo può ostacolare la vena creativa, eppure hanno scoperto che il contest è una buona ragione per continuare a scrivere ogni mese.”

Kat a Alex

Il duo di sposi Kat e Alex apporta degli unici sapori latin e delle ricche armonie vocali al loro sound country, talvolta alternando testi in inglese e spagnolo. Kat è un’americana di prima generazione di famiglia cubana, mentre Alex è di discendenza portoricana. I due si sono conosciuti a Miami, dove sono nati. Entrambi condividevano l’amore per il country e la musica latin, cosa che li ha portati a fondare la propria identità musicale. Dopo essersi trasferiti a Nashville per avanzare nella carriera, si sono concentrati sullo scrivere e registrare brani originali pregni delle loro varie influenze.

Taylor aveva già programmato di girare una video performance con loro presso il nostro showroom di Nashville per la serie Soundcheck la stessa settimana in cui il nostro team ha visitato il Bluebird, pertanto fu una lieta coincidenza che Tim Godwin poté raggiungerli il giorno dopo il loro debutto al Bluebird, avendoli anche apprezzati live. I due erano ancora estasiati dall’esperienza marcante.

“Non avevo mai pianto tanto suonando un round”, afferma Kat.

“La gente ti circonda e sono tutti vicinissimi”, aggiunge Alex. “È un momento molto intimo in cui le persone entrano a far parte della tua carriera, della tua vita. Una condivisione molto speciale. È un posto sacro, che oserei paragonare al Grand Ole Opry.”

Durante il loro set, i due hanno suonato per la prima volta diversi nuovi brani.

Kat e Alex si esibiscono col loro brano “I Want It All”

“Ho cantato un pezzo che ho scritto e dedicato a Kat”, sostiene Alex. “Lei ha cantato un pezzo che abbiamo scritto e dedicato insieme ai suoi genitori. Poi abbiamo cantato un altro pezzo non ancora rilasciato chiamato “Cowboys Need Sunsets”. È stata una serata speciale in cui abbiamo condiviso molte cose vulnerabili che abbiamo scritto e non ancora rilasciato neanche sui social.”

“Ho visto gente piangere insieme a me”, ricorda Kat. “Qualcuno mi ha passato un fazzoletto. Ho pensato Ok, l’hanno sentito anche loro, hanno capito. Quando succede questo, per me è perché siamo riusciti nel nostro intento.”

Investire nei compositori di domani

Sebbene il Bluebird sia diventato un’illustre istituzione nella community musicale di Nashville, la visione a lungo termine della fondatrice Amy Kurland prevedeva di trovare un modo per preservarne il futuro quando lei si sarebbe fatta da parte. Così, quando andò in pensione nel 2008, la Kurland vendette il Bluebird all’associazione no-profit Nashville Songwriters Association International (NSAI), l’associazione di settore no-profit per i compositori più grande al mondo. Per lei, la mission della NSAI di “educare, elevare e celebrare il compositore e di agire come forza unificante nella community musicale e nella comunità in genere” ha reso l’organizzazione la custode ideale per l’operazione del locale.

Inoltre, la Kurland aveva in mente la persona perfetta per prendere le redini della situazione: Erika, che in realtà aveva lasciato il Bluebird e nei tre anni precedenti aveva lavorato alla NSAI come direttrice dello sviluppo, la quale accettò di tornare al Bluebird come manager generale e direttrice operativa.

Il Bluebird diventa una celebrità della TV

Nel 2011, Erika ricevette una chiamata su un progetto in sviluppo per una serie TV ambientata a Nashville e basata sulle storie di varie star country fittizie. Il team creativo voleva rendere l’ambientazione quanto più autentica possibile, così richiese di girare delle scene per un episodio pilota nel Bluebird. Erika accettò e lo show, Nashville, venne preso dalla ABC. Andò avanti sulla ABC per sei stagioni, dal 2012 al 2018, e più avanti, sulla CMT.

Il Bluebird sarebbe diventato l’ambientazione centrale della serie ma, per farlo, la compagnia di produzione (Lion’s Gate) costruì una replica esatta del club (esterni e interni) nello studio di registrazione. Fu progettato con la massima cura del dettaglio per renderlo il più accurato possibile. (I designer del set arrivarono addirittura a prendere in prestito tutte le foto degli artisti appese sulla parete del vero Bluebird, le scansionarono e le appesero sulle pareti del set nello stesso identico ordine.)

Nonostante abbia tramutato il Bluebird in un brand riconosciuto globalmente e in una meta obbligatoria per i numerosi fan dello show, la serie causò anche un travolgente flusso di turismo che il piccolo club non riuscì a gestire.

“Secondo me la cosa più interessante è che la gente ha risposto alla celebrità del Bluebird Café”, spiega Erika. “Nessuno sapeva che facessimo musica… che avevamo due spettacoli a serata. A loro non importava. Volevano solo stare lì, scattare foto. Se guardi il documentario, ti rifai gli occhi per quanto è bello.”

Secondo Erika, il lato positivo è che tutta questa attenzione offrì al Bluebird una maggiore piattaforma per mostrare perché i compositori sono così importanti a Nashville.

“I compositori sono la nobiltà qui, e il nostro compito è fare in modo che la gente lo capisca”, esclama. “Così fu un’opportunità per affermare che siamo un music club, facciamo musica originale, ingaggiamo compositori. Quella parte ha funzionato. Ma continuiamo ad avere solo 86 posti a sedere.”

Il successo dello show televisivo generò altro interesse esterno nel realizzare un docufilm sul Bluebird, un progetto che Erika aveva già perseguito per raccontare la sua lunga storia. Aveva conosciuto i registi Brian Loschiavo e Jeff Molano che avevano lavorato allo show, e loro avevano fatto i salti di gioia all’idea di poter dare vita al progetto.

Erika era super entusiasta col risultato finale, Bluebird.

“Non poteva essere fatto meglio”, esclama. “Rideresti se vedessi il processo di registrazione delle performance. La troupe era nascosta sotto ai tavoli, dietro ai pali, tra le gambe delle persone, tutto questo per poter riprendere il feeling di prossimità di questa sala e l’intimità che si viene a creare tra una persona, un compositore e un brano.”

Dopo aver festeggiato il 40° compleanno del Bluebird nel 2022, Erika resta appassionata e desiderosa di continuare a preservare l’essenza e il retaggio del locale nella sua posizione attuale, anche considerando la notevole crescita commerciale e residenziale di Nashville e della periferia circostante.

“Abbiamo un palazzo da 22 piani in costruzione accanto a noi che farà una pubblicità enorme”, dice. “Se guardi l’interno di questo locale potresti pensare che è tutto vecchio, il tappeto, le tovaglie eccetera, ma questa sala ha un’energia e, secondo me, una motivazione che sprona le persone a creare la miglior musica possibile. E noi siamo molto in linea con gli artisti con cui collaboriamo e con il modo di avanzare e rappresentarci a vicenda. È una faccenda molto importante per me perché siamo come un minuscolo sussurro. Non serve urlare. Dobbiamo concentrarci su chi siamo e cosa facciamo, e io credo che Taylor abbia lo stesso impegno.”

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Di Taylor Gamble

Bentornati alle lezioni di chitarra di Wood&Steel! Questa volta siamo emozionati di avere con noi la musicista professionista e insegnante di chitarra Taylor Gamble, che ha suonato e registrato con artisti del calibro di Ari Lennox, Stevie Wonder, Tye Tribbett, JJ Hairston, Anthony Brown, Bela Dona, eccetera. È una musicista con una grande esperienza in studio, specializzata negli stili gospel, acustico, R&B e rock. Seguitela su Instagram @taylrtheg; inoltre, nel suo corso online su Skillshare troverete altre sue lezioni approfondite.

Principianti: introduzione al sistema di accordi CAGED

Taylor inizia introducendo il sistema CAGED di accordi aperti sulla chitarra per formare una semplice base, su cui poi poter costruire progressioni di accordi e melodie.

Intermedi: ottenere di più dagli accordi

In seguito, Taylor mostra come il sistema CAGED porti a nuovi territori sonori apportando semplici modifiche alle forme degli accordi, tra cui il modo di trasformare gli accordi maggiori dal suono allegro in accordi minori dal suono più cupo.

Avanzati: muoversi nel sistema CAGED

Infine, Taylor mostra come prendere le forme degli accordi e le sonorità apprese nelle lezioni precedenti e spostarle sul manico della chitarra, potendo così di modellare accordi e progressioni in diverse tonalità e gamme di frequenza.

Speriamo che queste lezioni di chitarra di Wood&Steel vi siano piaciute! Nel nostro prossimo numero troverete altri video che vi aiuteranno a sviluppare le vostre abilità.

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Il chitarrista Stevie Salas, RUMBLE e i musicisti nativi americani che hanno contribuito alla crescita del rock‘n’roll

Immaginatevi la scena: a sinistra, un giradischi con un LP; a destra, una donna di nome Pura Fè che ascolta. Indossa orecchini e abiti sottilmente, ma palesemente, appartenenti al retaggio nativo americano: le tribù Tuscarora e Taino. La musica è grezza, una registrazione di qualità mediocre, un blues classico di un cantante e chitarrista di nome Charley Patton. Quando parte la musica, Fé ride, il suo volto si illumina per averlo riconosciuto. Tamburella il ritmo con le dita e inizia a cantare. Oltre un secolo d’influenza musicale prende vita, il legame è indelebile.

“Mi riporta alle mie origini” dice la donna. “Riesco a sentire tutti quei canti tradizionali [nativi americani]. È musica indiana, ma con la chitarra.”

Questa sequenza di intervista non più lunga di due minuti ricostruisce generazioni di suoni passati attraverso culture e lignaggi (musica folk nativa americana, radici blues afro americane e rock‘n’roll classico), tutti inconfondibilmente collegati in un modo così ovvio che perfino un ascoltatore profano non può fare a meno di apprezzare.

Ecco il potere del documentario musicale RUMBLE: The Indians Who Rocked the World del 2017, di cui Stevie Salas è il produttore esecutivo. Intitolato così per il classico strumentale di Link Wray (tribù Shawnee) e il suo martellante motivo a tre accordi, RUMBLE è un film raro, dotato di una sorta di potere riparatore, che illumina i fili culturali, un tempo attivamente recisi dai poteri forti, e li rende visibili agli ascoltatori moderni. Premiato alla sua uscita a dei festival cinematografici indipendenti con dei riconoscimenti, è un film che ogni fan del rock classico, del blues o della musica roots di qualsiasi genere dovrebbe assolutamente vedere.

Stevie Salas: mani eccelse

Guardando RUMBLE, è chiaro sin dall’inizio che questo film è un atto d’amore, impregnato di un’autenticità che, da standard televisivo, lo eleva a opera d’arte sentita e ispirata. Con il produttore esecutivo Stevie Salas al timone, non sorprende che il film mantenga la promessa di sconvolgere il vostro mondo.

Nato nel 1964 a Oceanside, California (casualmente vicino alla sede della Taylor a San Diego), Salas è il tipo di musicista che, in un mondo più giusto, sarebbe famoso. Ma negli ambienti del rock, le sue credenziali sono vere. Sebbene abbia imbracciato la sua prima chitarra all’età di quindici anni, non ha perso tempo e ha iniziato la sua carriera nel 1986 come chitarrista di sessione e turnista con le leggende del funk George Clinton e Bootsy Collins. Cresciuto ascoltando il rock classico dei Led Zeppelin, dei Cream, di Jimi Hendrix, di James Brown e di altri, Salas attribuisce all’influenza del patrigno, anch’egli un musicista rock, il merito di averlo avvicinato al mondo della musica. Ben presto, il nome di Salas ha iniziato a circolare tra i più grandi artisti dell’epoca e nel 1988 ha iniziato una tournée con Rod Stewart.

Nonostante il suo ricco curriculum, che comprende collaborazioni con artisti che vanno da Mick Jagger, Ronnie Wood, Bernard Fowler e Steven Tyler al rapper TI e ai pilastri del pop Justin Timberlake e Adam Lambert, molti conoscono Salas per la sua apparizione nel film cult Bill & Ted’s Excellent Adventure. Con dei giovani Keanu Reeves e Alex Winter, il film è un capolavoro di altissimo livello, che parla di due adolescenti poco dotati che, nonostante i loro sogni di diventare celebrità hard-rock, si trovano ad affrontare ostacoli banali come la scuola superiore e la totale incapacità di suonare i loro strumenti. Dotati di poteri per viaggiare nel tempo da Rufus, un misterioso umano del futuro interpretato da George Carlin, i ragazzi saltano da un’epoca all’altra alla ricerca di personaggi che possano aiutarli a realizzare la più epica relazione di storia di tutti i tempi, che potrebbe essere sufficiente a salvare i loro voti e a mantenere vivi i loro sogni di eroismo musicale.

Peripezie a parte, Bill e Ted concludono il loro viaggio con un’esibizione rock improvvisata da Rufus, che esegue un abile assolo di chitarra, anche se musicalmente ridicolo, alla fine del film. Alla ricerca di un po’ di autenticità hard-rock, i produttori hanno ingaggiato Salas per eseguire l’assolo e sono le sue mani quelle che vedete sullo schermo. Per ottenere il suono disordinato e al tempo stesso tagliente dell’assolo, Salas ha girato la chitarra al contrario e l’ha suonata con la mano sinistra durante la registrazione dell’audio.

Momento propizio per un musicista di tutto rispetto, Bill & Ted precede una lunga carriera che porta Salas in giro per il mondo a suonare con una lunga lista di grandi del rock e del funk. Ha iniziato la sua carriera da solista con un progetto chiamato Colorcode, che ha debuttato con un album omonimo nel 1990 prodotto da Bill Laswell. Salas ha aperto il tour di Joe Satriani e l’album ha venduto bene in tutto il mondo. Salas ha pubblicato altri sei album in studio come Colorcode, oltre a un paio di album dal vivo.

“Non sono mai stato il tipo che ha fatto del suo patrimonio una parte del modo in cui si è venduto. L’essere nativo era ciò che ero come persona sullo sfondo.”

Stevie Salas

Salas ha anche registrato con il proprio nome e l’influenza nativa compare in molti dei suoi lavori da solista. Di origini Apache, Salas riconosce che, per gran parte della sua carriera, il suo retaggio di nativo americano è apparso nel suo lavoro perlopiù filtrato da musicisti non indigeni come Jimmy Page e Jeff Beck, che a loro volta hanno attinto ai suoni dei nativi attraverso la lente del blues americano, un suono tipicamente associato alle comunità afroamericane del Sud prima della Guerra Civile e dell’epoca della Ricostruzione.

“Non sono mai stato il tipo che ha fatto del suo patrimonio una parte del modo in cui si è venduto” spiega Salas. “Volevo essere conosciuto come uno dei migliori e lavorare con i migliori, soltanto per la mia musica. L’essere nativo era ciò che ero come persona sullo sfondo.”

Un tuono lontano: com’è nato RUMBLE

Salas ricorda di essersi avvicinato alla sua eredità indigena quando ha iniziato a collaborare con Brian Wright-McLeod, un giornalista musicale e conduttore radiofonico delle tribù Dakota e Anishinaabe di Toronto. Wright-McLeod ha fatto conoscere a Salas Jesse Ed Davis, un chitarrista noto per aver suonato, tra gli altri, con Taj Mahal, Eric Clapton e John Lennon. In quel periodo, Salas decise di perseguire dei progetti culturali che collegassero i musicisti nativi americani alla visione tradizionale della musica popolare. Ben presto, Salas iniziò a lavorare con Tim Johnson (Mohawk), un direttore associato dello Smithsonian Institution di Washington, dove sviluppò una mostra sul tema intitolata Up Where We Belong: Natives in Popular Culture, prima di iniziare a lavorare a RUMBLE.

“Dovevo fare qualcosa, data la posizione in cui mi trovo come nativo americano, per restituire qualcosa al mio popolo, per lasciare qualcos’altro che non fosse una scimmia che saltella su un palco” dice Salas. “Dovevo fare qualcosa di più importante.”

RUMBLE fu presentato in anteprima al Sundance Film Festival nel 2017, cinque anni dopo che Salas aveva proposto l’idea. Il film riscosse un immediato successo di critica, ottenendo il World Cinema Documentary Special Jury Award del festival come Masterful Storytelling. Ha ottenuto riconoscimenti anche in altri festival indie, tra cui quello per il miglior documentario musicale al Boulder International Film Festival e tre Canadian Screen Award nel 2018.

Un ecosistema interconnesso di musica e storia

Nella forma, RUMBLE si presenta come la maggior parte dei documentari musicali e le interviste a mezzobusto, intervallate da clip di performance d’epoca e attuali e da immagini storiche risalenti all’inizio del XX secolo, risulteranno familiari alla maggior parte del pubblico. Il vero punto di forza del film è il suo notevole impegno nel trovare connessioni tra segnali musicali che la maggior parte delle persone, indipendentemente dalla loro conoscenza della storia della musica, avrebbe probabilmente ritenuto indipendenti. RUMBLE segue con attenzione le caratteristiche degli stili musicali dai loro ideatori convenzionalmente intesi fino alle influenze nascoste nelle comunità indigene americane, come un biologo potrebbe scoprire dei collegamenti invisibili tra le specie nella lunga catena dell’evoluzione. I registi riescono a sorprendere e rendere piacevoli storie che molti spettatori potrebbero pensare di conoscere già.

L’immagine più potente di queste connessioni si tuffa in un passato di oltre cento anni nella storia delle popolazioni indigene, delle comunità afroamericane e degli Stati Uniti come nazione. Prendiamo Robert Johnson, l’influente chitarrista il cui suono è comunemente ritenuto la base del blues e, per estensione, del rock’n’roll di ogni genere. Ma la storia vera è più complicata e, sebbene l’influenza di Johnson sia indiscutibile, RUMBLE mostra agli spettatori un altro autore del suono blues.

Per citare una conversazione con l’amico, vicino di casa e collega chitarrista Charlie Sexton, Stevie Salas riassume la vera storia dietro il noto mito.

“Tutti parlano di Robert Johnson perché la sua storia è sexy” dice Salas riferendosi alla leggenda di Johnson, che avrebbe venduto l’anima al diavolo in cambio del talento musicale. Ma chi lo sa, sa che è stato davvero Charley Patton.”

Nato presumibilmente nel 1892, Patton è cresciuto nel Mississippi centrale e nordoccidentale, vicino al territorio dei nativi americani Choctaw. Si pensa che, oltre alle sue origini afroamericane, avesse un antenato di quella tribù: una combinazione abbastanza comune alla fine del XIX e agli inizi del XX secolo, che si intrecciava con la politica razziale dell’epoca. Come RUMBLE si preoccupa di sottolineare, le comunità nere e indigene erano spesso intrecciate a causa della fuga degli schiavi che cercavano rifugio, tra l’altro, fra le popolazioni tribali. Spesso i villaggi e le comunità indigene accoglievano questi fuggitivi e diventavano parte integrante della famosa Underground Railroad (ferrovia sotterranea, N.d.T.).

Charley Patton era integrato in queste comunità indigene di afro e nativi americani, e assimilava gli stili musicali dei due popoli.

Dopo la Guerra Civile e l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti, i rapporti tra gli afroamericani e i nativi americani divennero più complessi. In particolare, le tribù dei Cherokee, Choctaw, Chickasaw, Semiole e Creek erano molto mescolate con la comunità nera. Per i governi dell’epoca della Ricostruzione, spesso questo mix era visto come una minaccia e la discriminazione razziale continuò. Spesso gli afroamericani discendevano dagli schiavi liberati e il governo dell’epoca aveva soppresso totalmente la complessità dei lignaggi che i nativi americani avevano; gli individui di etnia mista erano considerati come neri, e non nativi, per negare loro i diritti di proprietà della terra.

Politica a parte, Patton era integrato in queste comunità indigene di afro e nativi americani, e assimilava gli stili musicali dei due popoli. Famoso per il suo stile vistoso, Patton era noto per i suoi trucchi, come suonare la chitarra dietro la testa, che Jimi Hendrix avrebbe adottato in seguito. La sua influenza sulla musica rock non può essere sottovalutata: la leggenda del blues Howlin’ Wolf lo ha definito come un’influenza fondamentale e lui stesso è stato una fonte di ispirazione per alcuni musicisti europei, i più noti dei quali non sono altro che i Rolling Stones.

Stevie Salas descrive questa concatenazione di influenze come nascosta in bella vista.

“Una volta che si iniziava a guardare, tutte le informazioni erano lì, ma nessuno di noi le aveva mia viste” afferma.

Le lezioni di storia di RUMBLE sono di ampia portata e coprono concetti musicali di un intero continente.

“Usavamo la musica per raccontare la storia dello sviluppo del Nord America” dice Salas.

Legami personali attraverso il rock

I registi del film (Catherine Bainbridge e Alfonso Maiorana) e gli esperti del settore del tema trattato tracciano con grande cura i punti della trama di quella storia. Mentre mostra l’eredità e l’ispirazione dei nativi americani da Link Wray a Jimi Hendrix a Johnny Cash (che ha combattuto una lunga battaglia con la sua casa discografica per pubblicare una raccolta di canzoni ispirate alla cultura dei nativi americani), RUMBLE trasforma suoni probabilmente già noti agli appassionati di rock classico e blues in crocevia dove le idee si sono scontrate e si sono sviluppate in concetti musicali fondamentali. Il film esplora anche le carriere e l’influenza di musicisti meno noti come Jesse Ed Davis, il cui assolo blues in Doctor, My Eyes di Jackson Browne lo ha fatto diventare un ricercato turnista; Redbone, la cui hit del 1974 Come and Get Your Love ha trovato un nuovo pubblico quattro decenni più tardi dopo essere stata inserita nel film Marvel del 2014 I guardiani della galassia; fino a Randy Castillo, batterista di Ozzy Osbourne e dei Mötley Crüe.

La storia di Castillo ha tutti i tratti distintivi del folklore classico del rock’n’roll: un’estetica musicale inconfondibile che lo distingueva dagli altri batteristi dell’epoca, una personalità esagerata e un finale tragico. Mentre RUMBLE si avvia alla conclusione, Stevie Salas stesso interviene per raccontare la storia di Randy insieme al poeta e attivista nativo americano John Trudell (tribù Santee e Dakota). Salas attribuisce a Castillo il merito di averlo avvicinato alla sua eredità nativa negli anni ‘80, quando lo stesso Salas viveva come una rockstar.

“Sono su un jet privato” ricorda Salas. “Sto facendo un sacco di soldi, sono circondato da donne, ma non so più chi sono. Randy Castillo fece amicizia con me sapendo che ero un nativo americano. Ci siamo incontrati proprio quando stavo finendo il tour di Rod Stewart. Bevevo sempre di più e andavo continuamente alle feste… e lui capì che stavo perdendo la testa. Mi disse: ‘Ti porterò in New Mexico’.”

Salas afferma che, per gran parte della sua carriera, non aveva pensato alle sue origini native come a una caratteristica definita del suo essere un musicista o a come si identificava con il resto del mondo della musica. Ma Castillo lo aiutò a connettersi con le sue radici.

“[Randy] continua: ‘Devo portarti nella terra degli indiani’. Non avevo mai sentito quell’espressione, ‘terra degli indiani’.”

Un filo conduttore di RUMBLE è l’idea che le persone di origine nativa condividano un qualcosa di musicale, un modo diverso di approcciarsi al suono che ha permesso loro di ritagliarsi un ruolo nella cultura tradizionale e di diffondere la loro influenza attraverso l’albero genealogico della musica rock.

“Il senso del ritmo dei nativi americani è nel mio DNA, come sentiamo il ritmo in battere” dice Salas.

A questo sentimento fanno eco gli esperti che i produttori di RUMBLE hanno scelto per intervenire nel film, dagli addetti ai lavori dell’industria musicale come Quincy Jones e Steven Van Zandt, ai musicisti più noti come George Clinton e Taj Mahal, fino agli scriba culturali come Martin Scorsese e John Trudell.

Facendo riferimento al periodo di Castillo con Ozzy Osbourne, nel film il bassista Robert Trujillo ricorda come Ozzy scovasse dei musicisti che portavano il distintivo approccio “indigeno” al modo di fare musica.

“Ozzy ha sempre detto che ama lavorare con i nativi e gli ispanici. Aveva un legame con loro” dice Trujillo. “Percepiva che avevano un ritmo migliore. Ha sempre parlato di Randy come di una connessione diretta con quell’energia indigena e quel ritmo che lui amava.”

Ma più di tutti, Salas voleva fare un film che mostrasse questi legami tra i musicisti nativi americani e l’interpretazione ormai universale del rock come genere. Afferma che non voleva che fosse un “film sulla razza”, ma un film su degli eroi, su quelle persone che avevano quei suoni nel loro DNA e che li hanno trasmessi con amore attraverso generazioni di musica.

In una recente intervista di Taylor Primetime condotta dal content team di Taylor, Salas ha esposto la sua visione del film.

RUMBLE parla di persone che hanno cambiato il mondo” dice. “In realtà, si trattava di capire come le persone che hanno insegnato a tutti noi il rock’n’roll abbiano imparato da questi [nativi americani]. Se vi dicessi che Jesse Ed Davis è stato uno dei più grandi chitarristi degli anni Settanta, potreste commentare: ‘Eh, non era male’. Ma se lo dice Eric Clapton, replichereste: ‘Forse è meglio che ci pensi’.”

Anche con le sue cupe reminiscenze di torti storici e con le sfide affrontate dagli antenati di Salas, RUMBLE è indubbiamente un ottimo documentario sul rock. Mentre riunisce fili disparati di storia e cultura in una linea temporale serrata e avvincente, il film rende esplicite le influenze precedentemente note solo agli storici della musica e ai pochi musicisti che hanno effettivamente lavorato con questi eroi nativi americani del rock. Molto più di un documentario di nicchia, RUMBLE è un film assolutamente da vedere per qualsiasi musicista o ascoltatore che voglia capire come il rock sia diventato ciò che è oggi.

Taboo (tribù Shoshone) dei Black Eyed Peas riassume il messaggio poco prima della fine del documentario.

“Quando sei circondato da belle persone native orgogliose delle loro origini, è d’ispirazione per tutti.”

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Custodi di alberi

Scorri verso il basso

Vi siete mai chiesti come sono gestiti gli alberi nelle città?

Alcuni di noi alla Taylor sono accampati fuori dell’ufficio di Mike Palat della West Coast Arborist, che ci sta facendo fare un tour virtuale della piattaforma informatica di proprietà che la WCA utilizza per la sua attività. Tutti gli occhi sono puntati sul monitor installato sulla parete mentre Mike naviga attraverso il sistema software di gestione degli alberi della WCA, un database efficiente che integra gli inventari dettagliati degli alberi e i trascorsi lavorativi che hanno compilato per le città nelle quali operano, per la bellezza di quasi 400 comuni in tutta la California e parte dell’Arizona. Il sistema è utilizzato per documentare la vita di più di sei milioni di alberi, grazie all’integrazione della mappatura GPS che traccia la posizione e il lavoro dei tecnici arboristi in tempo reale.

Palat, un vicepresidente della WCA con vent’anni di esperienza, è un maestro arborista certificato specializzato in servizi pubblici e comuni, e supervisiona le operazioni nella California del Sud, nella regione a sud-ovest, compresa la Contea di San Diego. È un’enciclopedia vivente degli alberi ed è ben felice di istruire noi non arboristi su alcune delle molte considerazioni che riguardano la programmazione e la gestione delle foreste urbane.

La conversazione spazia dalle basi di ciò che un appaltatore di manutenzione degli alberi municipali fa per le città al perché l’esperienza della WCA è stata così cruciale per l’iniziativa collaborativa sul legno urbano che questa azienda sta forgiando insieme alla Taylor.

Il nostro gruppo è composto da Scott Paul, il nostro esperto interno di sostenibilità, che conosce bene Palat e ci parla spesso. (Palat è il contatto principale di Scott alla WCA ed entrambi fanno parte del Board of Directors of Tree San Diego, un’organizzazione no profit impegnata ad accrescere la qualità degli alberi urbani a San Diego.) Durante tutto il video Scott tempesta Palat di domande volte a guidare la conversazione.

Come le città gestiscono i loro alberi

I numeri della West Coast Arborist

Più di 1100 impiegati
Più di 12 sedi in California e Arizona
Più di 675.000 alberi potati ogni anno
Più di 46.000 alberi rimossi ogni anno
Più di 18.500 alberi piantati ogni anno
Più di 300.000 alberi inventariati ogni anno

Palat inizia spiegando come le città creano e gestiscono i propri inventari di alberi urbani. All’interno di una città, vari uffici o agenzie possono gestire diverse classificazioni di alberi che formano la popolazione arborea urbana. Per esempio, a San Diego la Street Division della città supervisiona la manutenzione degli alberi urbani. Il Park & Recreation Department supervisiona gli alberi nei parchi pubblici. La San Diego Gas & Eletric potrebbe supervisionare quelli vicino ai servizi pubblici (linee elettriche). Insieme, tutti questi alberi costituiscono le chiome urbane della città e delle aree periferiche; per molti di noi, sono alberi nascosti in bella vista e si fondono con il paesaggio accanto a strade ed edifici, ma in realtà sono piantati, documentati e mantenuti con uno scopo.

“Molti programmi di gestione delle risorse cittadine gestiscono buche, lampioni, centraline per l’irrigazione e anche alberi”, spiega Palat. “Il nostro software è il loro punto di riferimento per gli alberi ed è specifico per le città.” Le città hanno dei dipartimenti GIS (Sistemi Informativi Geografici). Per quelle che hanno stipulato un contratto con la WCA, avere il proprio inventario di alberi in questo programma non ha alcun costo ed è dedicato alla gestione del patrimonio arboreo.”

Una città che stipula un contratto con la WCA potrebbe ricevere una gamma di servizi di gestione e manutenzione a seconda delle proprie risorse dipartimentali.

“Una parte del nostro lavoro è fare l’inventario degli alberi di una città”, dice Palat. “Le città posseggono quei dati e noi possiamo conservarli in molti modi. Il nostro software ArborAccess è un programma online dotato di un’applicazione per cellulare, quindi in sostanza quello che facciamo pagare è la raccolta dei dati, ovvero l’invio di un arborista per raccogliere queste informazioni, ma non le autorizzazioni di questo programma se un’agenzia è sotto contratto con la WCA.”

Se una città ha un contratto di manutenzione con questa azienda, ArborAccess permette di documentare tutti i trascorsi lavorativi. Mentre parla tira fuori una mappa di San Diego con integrazione GPS per mostrarci tutte le squadre della WCA attualmente al lavoro.

“Vedete tutti questi puntini? Sono i GPS delle squadre, questi sono tutti i veicoli dottai di GPS in tempo reale: dove lavorano, dove sono parcheggiati, quando arrivano e a che velocità vanno. Tutto questo è parte del programma.”

Che sia la città o la WCA a occuparsi della documentazione dell’inventario arboreo, viene creato un elenco pre-qualificato che viene conservato nel database, con le raccomandazioni per la manutenzione di ogni singolo albero.

“In seguito, se le nostre squadre sono fuori a potare gli alberi e notano qualcosa, aggiornano i dati per informare le città dei cambiamenti di questi alberi”, dice Palat. “Questi alberi sono biologici, quindi cambiano in continuazione. È un mezzo per comunicare alla città gli alberi potenzialmente a rischio.”

Che sia la città o la WCA a occuparsi della documentazione dell’inventario arboreo, viene creato un elenco pre-qualificato che viene conservato nel database, con le raccomandazioni per la manutenzione di ogni singolo albero.

Sebbene la WCA sia responsabile di documentare le condizioni degli alberi e di fornire tali informazioni alla città, in definitiva spetta a quest’ultima impartire le istruzioni del servizio. E quando si tratta di rimuovere degli alberi a causa dell’età, del degrado, del rischio per la sicurezza, eccetera, la decisione spetta esclusivamente alla città. Scott sottolinea questo punto per chiarire che la WCA, o la Taylor, non va in giro a cercare alberi da abbattere.

“No, niente affatto”, afferma Palat. “Consigliamo in base alle nostre osservazioni, ma la decisione finale di abbattere un albero spetta a loro.”

La conversazione si rivolge alle specie di legni urbani che al momento la Taylor si procura dalla WCA: frassino Shamel e adesso anche l’eucalipto corteccia di ferro rosso. Palat esegue quindi una ricerca di inventario di entrambe le specie arboree nella città di El Cajon, sede della Taylor (un cliente della WCA), per dimostrare l’utilità del sistema.

“Ci sono cinquantaquattro frassini Shamel nella città di El Cajon e, se voglio sapere la loro posizione, li mappo ed ecco qui. Posso attivare le immagini aeree e, come potete vedere, quando clicco su un albero mi dice di che albero si tratta, mi dà i dettagli, l’ultima volta che è stato potato… Si possono vedere tutte le informazioni: raccomandazioni di potatura di routine, nessun problema di manutenzione e c’è un’infrastruttura elettrica in superficie, che non è una buona cosa per il frassino Shamel nelle vicinanze.”

Albero giusto, posto giusto

Questo ultimo punto parla di ciò che è diventato un mantra tra gli arboristi di tutto il mondo: “albero giusto, posto giusto”. In altre parole, da una prospettiva di piantatura e progettazione, è importante piantare delle specie di alberi con caratteristiche compatibili con la posizione specifica e che servano ai loro scopi, che si tratti di fare ombra, attutire i rumori e il vento o altri benefici, senza causare problemi. Come nel caso di una vicinanza eccessiva a un marciapiede o a una strada, dove le radici di alcune specie rischiano di strappare la pavimentazione o le linee fognarie, oppure crescere fino a dimensioni tali da interferire con le linee elettriche. Spesso si tratta di un esercizio di geometria, che prevede l’aspetto dell’albero a maturità e il modo in cui alla fine riempirà lo spazio in cui sarà piantato.

Infine, degli alberi “sbagliati” piantati nel posto sbagliato “sono dei candidati alla rimozione”, dice Palat. “Anzi, la San Diego Gas & Electric ha un intero programma per cercare di rimuovere questi alberi problematici, quelli che chiamano “i demolitori del ciclo”. Spendono un sacco di soldi per rimuovere la vegetazione dalle linee elettriche e spesso si rivolgono alle agenzie dicendo: “Vi diamo alberi gratis se ci lasciate rimuovere questi”.

Mentre le città cercano di piantare più alberi per rafforzare le loro chiome urbane, hanno anche mappato e designato le aree libere come luoghi adatti alla piantatura. Palat ingrandisce la mappa e mostra una serie di puntini grigi che rappresentano questi luoghi.

“Se analizziamo un luogo libero, una parte di questa analisi potrebbe consistere nel misurare la larghezza della strada”, spiega. “Se ci sono linee elettriche aeree, anche questo aspetto rientrerà nel processo decisionale.”

La durata media della vita di un albero urbano è di otto anni.


A seconda del luogo, una delle sfide della coltivazione di un albero, dice Palat, è determinare chi lo annaffierà. “In questo momento [nella California del sud], questa è la difficoltà maggiore”, aggiunge. “Anche se le città sono disposte a regalare alberi, nessuno li prende. Esiste l’irrigazione a contratto, ma costa. Oppure si può trovare un affittuario che dica: ‘Lo prendo io’, ma poi si trasferisce e chi subentra non se ne cura. Questo è il motivo principale per cui la vita media di un albero urbano è di otto anni.”

Si è anche diffusa un’idea sbagliata sul costo dell’annaffiatura di un albero, afferma Palat.

“Alcune persone credono che mantenere un giovane albero costi migliaia di dollari all’anno”, spiega. “Ma in realtà mantenere un giovane albero costa dieci dollari l’anno. I litri d’acqua necessari possono essere usati in modo strategico per massimizzare ciò che è necessario al mantenimento.”

Mantenere un giovane albero costa dieci dollari all’anno.


Molte delle decisioni sul piantare alberi in una città devono ovviamente considerare l’impatto a lungo termine degli ambienti in cui vivono e crescono. Una considerazione previsionale sempre più importante è il modo in cui gli effetti del cambiamento climatico stanno costringendo le città a ripensare la vitalità delle loro popolazioni arboree per i decenni a venire.

A tal fine, la WCA ha lavorato con altri esperti di alberi in California per combinare i dati e creare un database su scala nazionale ancora più dettagliato. Tra questi si annoverano Matt Ritter, professore del dipartimento di biologia al Cat Poly, San Luis Obispo, un esperto di orticultura, autore e una delle maggiori autorità mondiali sull’eucalipto. Il database online di Matt, SelecTree (https://selectree.calpoly.edu/), è una grande risorsa nella selezione di specie adeguate in California.

“Il programma che abbiamo elaborato con Matt ha introdotto alberi di cui nessuno ha mai sentito parlare, nel tentativo di guadagnare un po’ di slancio sulle specie che dovrebbero essere introdotte per un futuro successo”, dice Palat.

Per mostrare alcune delle altre capacità del loro software, Palat ha estratto i dati sugli alberi della città di El Cajon (dove ha sede la Taylor) per darci una panoramica dell’inventario degli alberi. Possiamo vedere, statisticamente, le prime dieci specie più piantate in percentuale della popolazione arborea: il mirto crespo è in testa con il 12,7%, seguito dalla palma regina con il 12,2%. Questi dati aiutano a guidare una sana diversificazione delle specie piantate.

“Una specie non dovrebbe mai dominare più del 10% della popolazione arborea, soprattutto in California”, afferma Palat. “La diversità delle specie è importante. Il motivo è che in California vengono introdotti nuovi parassiti ogni quaranta giorni, il che rende la popolazione arborea vulnerabile se è più numerosa.

Anche la diversità di età è un’importante considerazione statistica per valutare la salute della popolazione arborea di una città, dice Palat mentre osserva le dimensioni degli alberi per approssimare l’età di quelli di El Cajon.

“Solo lo 0,55% degli alberi con un diametro superiore ai settantotto centimetri, quindi sarebbe bello che la diversità di età fosse distribuita meglio”, spiega. “Di solito, quando gli alberi raggiungono questa fascia di età, è probabile che siano rimossi: accadono una serie di cose quando gli alberi maturano, dalle malattie e dai parassiti al decadimento e al non essere una specie appropriata per il luogo in cui l’albero è stato piantato.”

Parlando dell’inventario arboreo della California, un fattore che ha reso lo Stato un centro di diversità arborea è il suo clima mediterraneo (e i microclimi, dalle zone costiere alle valli interne e alle montagne), che può ospitare un’ampia gamma di specie. Palat sottolinea che molte zone della California, soprattutto quelle centrali e meridionali, in origine erano essenzialmente delle “tele bianche” senza una grande copertura arborea, motivo per cui molte specie non sono autoctone. (Per esempio, si veda la rubrica “Sostenibilità” di Scott Paul in questo numero, dove si parla della California e dell’eucalipto.)

La conversazione torna alle specie di alberi urbani con cui lavora la Taylor e Palat mostra la collocazione di alcuni eucalipti corteccia di ferro rossi nella zona. Speriamo di poter scattare alcune foto di eucalipti corteccia di ferro rossi e frassini Shamel maturi nelle vicinanze e ha trovato un paio di luoghi: un’aiuola spartitraffico lungo una strada con molti di questi eucalipti e un parco dove si trovano entrambe le specie.

Senza l’analisi dati della WCA, la Taylor non potrebbe impegnarsi a usare questi legni urbani su dei modelli dedicati.


Scott sottolinea che il software per alberi della WCA ha permesso alla Taylor di impegnarsi a utilizzare il frassino e l’eucalipto corteccia di ferro rosso su dei modelli dedicati della nostra linea.

“La grande domanda di Taylor, oltre al fatto che il legno avesse le proprietà adatte alla costruzione di chitarre, era se ci sarebbe stata o meno una fornitura nel tempo, in futuro”, spiega. “Il database della WCA è stato in grado di mostrarci che c’è un gran numero di alberi di nostro interesse in tutto lo Stato, che vengono piantati ancora oggi e che, in base alla durata media della vita di queste specie, la WCA può fornirci una stima abbastanza buona dei tassi di rimozione annuali. Naturalmente, la stima varierà ogni anno, ma ci ha dato la fiducia necessaria per andare avanti. Se non fosse stato per la capacità della WCA di farlo, non saremmo mai stati in grado di impegnarci a utilizzare quei boschi come parte integrante del nostro assortimento.”

Da quando nel 2020 hanno avviato questa partnership di approvvigionamento, la Taylor e la WCA hanno continuato a investire in processi e infrastrutture che migliorano le capacità operative della WCA con il legno proveniente da alberi rimossi.

“Ora abbiamo un meccanismo per cui, quando un’agenzia richiede la rimozione di un frassino Shamel, il mio telefono suona, così possiamo assicurarci di comunicare con la squadra di rimozione”, spiega Palat. “Questo ci ricorda di fare molta attenzione al modo in cui lo abbattiamo e ci assicura che venga portato nel nostro deposito di smistamento a Ontario [California].”

In questo segmento tratto da una discussione sulla produzione di legno urbano, il produttore dei contenuti di Taylor Jay Parkin parla col direttore della sostenibilità delle risorse naturali Taylor Scott Paul, col capo designer di chitarre Andy Powers, e col maestro arborista Mike Palat di West Coast Arborists. I quattro discutono del significato di foresta urbana, dei fattori che complicano e rincarano notevolmente la fornitura di legno urbano, e dei motivi che hanno spinto West Coast Arborists a creare l’infrastruttura per supportare questo nuovo modello di produzione.

Inoltre, la Taylor ha lavorato a stretto contatto con la WCA per preservare e tagliare in modo adeguato del legname idoneo per le chitarre.

“Abbiamo assolutamente imparato molto da questi ragazzi”, dice Palat. “Abbiamo costruito molte più strutture ombreggianti, adesso manteniamo il legno umido; per noi non era una grande esigenza finché non abbiamo cominciato a lavorare con voi. E adesso tagliamo gli alberi nel modo che ci avete aiutato a stabilire.”

Questa infrastruttura creerà idealmente le fondamenta di un’economia circolare intorno a questo legno e speriamo che serva da modello per realizzare altri prodotti di gran valore.

Insieme agli altri criteri che contribuiscono a determinare quali alberi piantare negli ambienti urbani in futuro, con un po’ di fortuna, forse verrà considerato anche il valore di fine vita.

I professionisti provano le chitarre

Scorri verso il basso

Abbiamo invitato dei musicisti attenti e minuziosi a provare le nostre nuove chitarre della serie 500. Ecco i loro commenti.

A luglio i membri del nostro team delle relazioni con gli artisti hanno trascorso la giornata con una serie di talentuosi musicisti di Los Angeles, allestendo una serie di sessioni individuali presso i Republic Studios (una divisione di Universal Music Group) per avere le prime impressioni di ogni artista sulle nuove chitarre in eucalipto corteccia di ferro rosso.

Volevamo le reazioni sincere di ciascuno senza “influenzare il teste”, quindi non abbiamo svelato nulla delle chitarre, a parte lo stile del corpo. Tutti gli artisti sono artisti Taylor con cui lavoriamo attualmente quindi, per correttezza, dobbiamo dire che conoscono già le nostre chitarre. Detto questo, abbiamo chiesto loro cosa li ha colpiti di questi modelli in particolare: pregi, difetti o altro. Avevamo a disposizione sia la 512ce che la 514ce e li abbiamo incoraggiati a suonarle entrambe, iniziando con il modello che desideravano.

Dal punto di vista estetico, quasi tutti hanno apprezzato l’aspetto del lieve trattamento edgeburst, soprattutto in combinazione con il colore leggermente più scuro del top in abete tostato, e diversi artisti hanno notato il filetto in finto guscio di tartaruga. Dal punto di vista musicale, il gruppo si è diviso equamente in base alle preferenze del modello.

Ecco alcuni punti salienti delle loro reazioni.

Matt Beckley

Chitarrista, autore, produttore e ingegnere

[Prima suona la 512ce.] È fantastica. [Poi la 514ce.] Questa vuole che tu la colpisca più forte. Cosa succede qui? Perché suona così bene? Sono molto articolate ma equilibrate… Questa ha un’ottima risposta delle basse e una buona risonanza. Sembra che non sia una chitarra nuova e lo intendo nel modo migliore. Non sembra che abbia bisogno di essere rodata. Ha la stessa suonabilità di una vecchia chitarra in mogano, con una sensazione di vecchio in senso positivo.

Registro molto e a volte, soprattutto quando si imbraccia una chitarra acustica, bisogna lavorarci molto, e suona come se fosse stata davvero ben pre-equalizzata; me lo ricorda un po’. È davvero bilanciata. Non è un suono scavato.

Potresti avere solo lei, perché sembra che possa registrare bene, ma stimola anche a scrivere. A volte, quando prendi una vecchia chitarra con spalla inclinata o qualcosa di simile, suona bene in una stanza, ma richiede un sacco di lavoro in studio o non avrà il giusto effetto sul palco. Questa è stimolante da suonare, quindi è anche ottima per scrivere… In una stanza, sembra anche una buona chitarra da registrazione. Quindi direi che non ci sono molte cose per cui non la userei. L’altra cosa è che si può colpire, ma dà comunque soddisfazione anche con il fingerpick. È davvero divertente.

La 512ce è molto forte per essere una chitarra dal corpo piccolo. E io ho una mano molto pesante. La compressione non incasina niente, perché con molte delle chitarre a corpo piccolo che ho non riesco a colpire così forte, il che non è un male; si adatta al mio modo di suonare… Produce una grande quantità di basse, ma in modo molto controllato, non confuso.

Le Taylor riescono ad avere delle buone basse e una buona proiezione, ma senza confondere il mix; come produttore e musicista che suona principalmente dal vivo, quello che cerco è una chitarra che supporti questo aspetto…

[Dopo aver saputo di che legni sono fatte] Questa [chitarra] è fantastica. Non riesco a credere che non sia in mogano. Suona come una chitarra fatta con quel legno. È davvero speciale e, da persona che ama il pianeta, sono felice che abbiate trovato il modo di mantenere l’idea… Avete davvero fatto centro.

Dory Lobel

Musicista, autrice, compositrice, produttrice e membro della band del programma The Voice da dieci anni

[Ispezionando la 514ce] Sembra bellissima, ottimo manico. [Suona un accordo.] Wow. Okay, prima di tutto, è davvero, davvero buona; è molto sorprendente. Molto dolce e bilanciata. Non ha quasi nessuna asprezza tipica della maggior parte delle acustiche. Spesso le chitarre acustiche sono costruite per produrre volume e proiezione, quindi a volte le singole note mancano di carattere, non parlano. Con questa, invece, ogni nota ha molto tono, ma è davvero rotonda.

La parola che continua a venirmi in mente è “equilibrata”. È super, super equilibrata. Ho un rapporto di amore/odio con le chitarre acustiche. Non molti ne parlano, ma credo che siano progettate innanzitutto per il volume e le paragono sempre a strumenti come mandolini e banjo, che hanno molta più personalità e medie. Ma questo è ciò che cerco in un’acustica: un suono abbastanza interessante da poter suonare una piccola nota ed essere sufficiente, e poterla lasciare in sospeso. Anche l’intonazione è pazzesca.

È interessante perché ha una gamma di frequenze piena e hi-fi, ma senza sacrificare una grande dolcezza. Mi ricorda molte cose che mi piacciono, come Elliott Smith, musica acustica molto bella ed emotiva, ma con una sorta di Tony Rice, hi-fi, bluegrass. Sono rese dal modo in cui risuona e dall’intonazione, tutto fiorisce davvero alla grande. Sapevo che sarebbe stata fantastica (suono chitarre della Serie 500 da 20 anni), ma è davvero straordinaria.

A The Voice uso molto questa forma [Grand Auditorium]; è una delle mie preferite. Credo che tutti concordino sul fatto che questa sia una grande chitarra. So che alcuni dicono che alcune forme sono più adatte per il fingerpicking o lo strumming. Questa, lo so per certo, può fare tutto. L’ho suonata con Alison Krauss, Vince Gill, Ryan Adams… non c’è nulla che non si possa fare con questa chitarra ed è ottima anche per registrare. Alcune chitarre si usano più per i live perché sono affidabili, mentre in studio si usa qualcos’altro. Questa si può sicuramente usare per entrambe le cose. È splendida… l’indicazione migliore è che non voglio smettere di suonarla.

Jaco Caraco

Turnista/chitarrista da palco e membro della band del programma The Kelly Clarkson Show

[Suona prima la 512ce.] Wow. La prima reazione è che il sustain è ancora attivo. Non credo di averlo mai sentito prima. La sensazione è incredibile, il suono fantastico. È bella e legnosa, una cosa che adoro in una chitarra acustica. Perfettamente intonata. Wow, la adoro.

Le medie sono davvero belle. Non è aspra. Suona benissimo con le dita e, anche se si fa un po’ di strumming, ha un ottimo suono.

[Suona la 514ce.] Ovviamente il corpo è più grande, quindi ha più basse, quasi come una J-200. Quindi, ora che le ho ascoltate entrambe e posso sentirle, per me questa sarebbe più per lo strumming. Ha un bel suono metallico e stridulo. Davvero impressionante.

È una chitarra incredibile. È davvero ben bilanciata. E le basse risuonano attraverso il corpo, il che è davvero bello.

Per me, la chitarra classica con cui registrerei sarebbe una vecchia Gibson. E sarei felice di registrare con questa e scommetto che nessuno sarebbe in grado di notare la differenza, a parte per quanto riguarda il sustain e l’intonazione.

Horace Bray

Chitarrista da registrazione/tour, cantante e produttore

[Suona prima la 512ce] Prima reazione: suona benissimo. La prima cosa che mi è saltata all’occhio è che è davvero uniforme su tutto il manico; per quanto io ami la chitarra, mi piace molto quando sembrano dei pianoforti, dove il suono è bilanciato su tutto lo strumento. Questa è la prima cosa che ho notato. Ha sicuramente un suono diverso nelle medie rispetto a ciò che ho suonato con la mia con top in abete, e fondo e fasce in mogano. Sembra quasi che abbia una compressione naturale, il che probabilmente contribuisce all’uniformità su tutta la chitarra. Non è molle. I silenzi parlano ancora molto e questa è la cosa su cui mi sto soffermando… L’attacco è più immediato in questo caso.

[Suona la 514ce] Wow. Questa sembra un po’ più di percussione. Mi sembra che reagisca un po’ di più agli attacchi del plettro. Mi fa venire voglia di fare più strumming… Credo che mi piaccia di più l’attacco del plettro, ma la compressione più naturale che ottengo con l’altra mi fa gravitare maggiormente verso i pezzi con una singola melodia. Probabilmente si può fare un po’ di più bluegrass, qualcosa di più strimpellato, dato che lascia risuonare le note.

Penso che l’accoppiata di questi due strumenti si completerebbe molto bene in un ambiente di studio… Credo che la differenza nel modo in cui si sentono gli attacchi li farebbe sovrapporre molto bene insieme.

Taylor Gamble

(Ari Lennox) Turnista (gospel-rock, R&B, acustica/classica)

[Suona la 512ce] La tensione delle corde è davvero buona. Riesco a far suonare il vibrato… L’azione è perfetta. Ha sicuramente il calore del palissandro; mi piace questo legno per la sua versatilità, per passare da un genere all’altro.

[Il suono è] molto ricco… Mi piacerebbe sentirlo amplificato e microfonato allo stesso tempo, perché è molto robusto. Quando suono piano riesco a sentire il suono generale… Ha un bel sostegno. Le note mantengono il loro valore; non ho l’impressione di perdere nulla quando suonano. Per quanto riguarda lo strumming e l’attacco, scatta come mi serve…

Potrei fare un intero set acustico solo con questa chitarra, dallo strumming al fingerpicking, ho collegato certi pedali alle mie chitarre acustiche perché sento che è bellissimo quando l’elettrica e l’acustica si sposano perfettamente, anche se si tratta solo di fare degli accordi. Quello strato in più che proviene da uno strumento acustico può essere la ciliegina sulla torta in molte situazioni. La userei sicuramente in un contesto acustico; la userei sicuramente durante uno spettacolo dal vivo, per esempio se mi esibissi con un artista, tirerei fuori questa ragazzaccia e le direi: “Suona bene, serve neanche l’amplificazione”. La userei anche per registrare. E onestamente, questo è il tipo di chitarra che registrerei insieme alla voce.

Questa chitarra sa farmi sentire tutto quello che ho bisogno di sentire quando suono in acustico. Sento molto bene le basse e sento ancora le alte e le medie; questa produce più medie, ma il mio modo di suonare è quello di fare molti accordi con molto feel, quindi ho bisogno di quel fondo. Gli accordi devono essere rigogliosi, devono risuonare ed essere sostenuti. Sono quel tipo di musicista. Mi piace molto il suono.

Janet Robin

Cantautrice, chitarrista e membro de The String Revolution

[Suona la 514ce] Il manico è ottimo come al solito. L’azione è fantastica. Io sono più una chitarrista di percussione… La risposta è ottima, soprattutto perché non è una dreadnought. Questa è in grado di sopportare il mio modo di suonare. Penso che abbia un suono piacevole e uniforme. È molto equilibrata. [Fa strumming più piano] Ha un bel sostegno. L’altra mia Taylor è una dreadnought in abete e palissandro [una dreadnought modello Dan Crary Signature]. Non riesco a ottenere quel suono. È molto vellutata; molto uniforme tra le basse, le alte e le medie. Direi che si orienta un po’di più verso le medie; naturalmente dipende anche dal tipo di corde usate.

Penso che sia il tipo di chitarra che può essere usata in tutti i modi: uso percussivo, come sto facendo io, forse fingerstyle [fingerpicking], bellissimo. Ancora una volta, ha quel sostegno vellutato e piacevole. Sicuramente è ottima per il fingerstyle e lo strumming, una grande chitarra da cantautore. Anche per un chitarrista solista… credo che si presti molto bene a un’esibizione solista o, grazie a quell’inclinazione verso le medie, potrebbe penetrare in una band… Bella dinamica.

Andy Powers alla terza

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Come capo progettista di chitarre, presidente e amministratore delegato, Andy Powers è pronto a guidare la prossima generazione di innovazioni Taylor

Abbiamo dovuto ordinare ad Andy Powers dei nuovi biglietti da visita. Il 31 maggio abbiamo proclamato Andy presidente e amministratore delegato della Taylor. Se conoscete Andy, sapete che non fa caso ai titoli; ha elencato prima il suo ruolo di progettista di chitarre per sottolineare la continua attenzione della Taylor nel realizzare strumenti che allietano e ispirano i musicisti.

I cofondatori Bob Taylor e Kurt Listug, ora rispettivamente ex presidente ed ex amministratore delegato, hanno comunicato con orgoglio la notizia ai dipendenti proprietari della Taylor in un video pre-registrato con Andy, che è stato pubblicato un giorno prima dell’annuncio pubblico. Inoltre, Bob e Kurt hanno comunicato che continueranno a essere coinvolti nell’azienda come consulenti senior e co-presidenti del consiglio di amministrazione della Taylor Guitars, istituito nell’ambito del passaggio dell’azienda a essere di proprietà al 100% dei dipendenti.

L’annuncio è stato dato proprio qualche giorno prima del NAMM Show ad Anaheim, in California, un evento che ha fatto parlare di sé per il suo ritorno dopo una pausa dovuta al COVID.

La settimana seguente, di ritorno al campus Taylor a El Cajon, abbiamo tenuto il nostro evento ESOP di metà anno, durante il quale Andy ha avuto l’opportunità di parlare personalmente ai dipendenti-proprietari del suo nuovo ruolo e del nostro percorso come azienda di chitarre. Ma non prima di aver dato il via alle danze con alcune canzoni.

E con ciò, Jason Mraz, un vecchio amico di Andy, è salito sul palco per cantare alcune canzoni, accompagnato da Andy alla chitarra.

Si è trattato di un momento in cui il cerchio si è chiuso, considerando che Andy e Bob Taylor si erano incontrati in occasione dell’esibizione di Mraz sul palco della Taylor al NAMM nel 2010, con Andy come turnista. Sono seguite delle conversazioni. Bob ha fatto la sua mossa. Andy si è unito all’azienda nel gennaio 2011 e il resto è storia, una storia che continua a svolgersi con Andy ora formalmente al comando.

Un passaggio graduale

Data la progressione degli eventi alla Taylor negli ultimi anni, il ruolo superiore di Andy non è stato un’enorme sorpresa per molti di noi qui in azienda. È sembrato invece la continuazione logica del piano di successione che Bob e Kurt avevano messo in moto. Nel 2019 Andy è diventato socio, un testamento della fiducia che Bob e Kurt ripongono in lui, unita al desiderio di mantenere il design delle chitarre qui alla Taylor il punto centrale per un futuro a lungo termine.

“Andy ha la visione e il talento per continuare a far progredire la liuteria alla Taylor. È fondamentale per il futuro dell’azienda.”

Bob Taylor

L’impegno fu avvalorato quando l’azienda annunciò il passaggio a essere di proprietà al 100% dei dipendenti, una mossa che Bob, Kurt e Andy ritenevano la soluzione migliore per preservare la cultura della creatività e l’innovazione chitarristica che ha alimentato la crescita e il successo della Taylor. La visione creativa di Andy, i design di chitarre incentrati sui musicisti e la sua leadership attenta alla Taylor, uniti al suo impegno professionale all’interno dell’azienda, sono stati fattori importanti nel prendere questa decisione, che hanno rassicurato Bob e Kurt sulla scelta di prendere quella strada.

“Andy ha la visione e il talento per continuare a far progredire la liuteria alla Taylor. È fondamentale per il futuro dell’azienda”, afferma Bob.

Imparare da Kurt

Sebbene il passaggio di testimone da Bob ad Andy sia stato evidente fin dall’inizio, ricoprire il ruolo di Kurt non rientrava nei piani originali di Andy. Ma Kurt dice che Andy ha dimostrato fin da subito interesse e attitudine per il lato commerciale dell’attività della Taylor e ha capito come tutti i pezzi debbano combaciare in modo olistico per mantenere un’azienda sana.

“Sin da quando si è unito a noi nel 2011, Andy ha lavorato in stretta collaborazione con tutti i reparti sotto la mia leadership: vendita, marketing, finanza e risorse umane. E capisce a fondo le loro funzioni”, ha dichiarato Kurt in occasione dell’annuncio ai dipendenti-proprietari della Taylor.

Negli ultimi anni Kurt ha dedicato molto tempo a fare da mentore ad Andy, discutendo di pianificazione finanziaria, rivedendo i bilanci e parlando della filosofia di gestione aziendale che ha guidato le decisioni prese nel corso degli anni. Ha capito che Andy era la persona giusta per ricoprire anche il ruolo di amministratore delegato durante il 2020, quando si stavano gettando le basi per preparare il passaggio a una struttura ESOP.

Inoltre, Kurt sottolinea che oggi è più facile per una sola persona supervisionare sia la produzione di chitarre che il lato commerciale dell’azienda, perché la Taylor è ben consolidata e ha un team esecutivo forte ed esperto con molti decenni di esperienza in azienda a sostenerlo.

“Sarebbe stato impossibile sia per Bob che per me creare e formare l’azienda da soli”, riflette. “Quando abbiamo iniziato, Bob aveva 19 anni e io 21. Non avevamo esperienza, ognuno di noi ha dovuto concentrarsi sulle cose che ci interessavano e in cui siamo diventati bravi man mano che ci lavoravamo. Ora l’azienda è molto diversa.”

E Andy ha beneficiato di ciò che ognuno di loro ha imparato.

Nessun mutamento: abbracciare il cambiamento

In occasione dell’annuncio pubblico del nuovo ruolo di Andy, abbiamo registrato un’edizione speciale del nostro show video in streaming Taylor Primetime, condotto dal produttore di contenuti della Taylor Jay Parkin. Bob, Kurt e Andy erano ospiti speciali e hanno condiviso i loro pensieri sul perché sia una buona cosa per l’azienda e per le sue parti interessate in futuro. Jay ha chiesto ad Andy come s’immagina i cambiamenti del suo ruolo.

“Sono così fortunato, perché lavoro sempre con delle persone incredibili.”

Andy Powers

“Onestamente, il mio ruolo non cambia molto”, dice. “Per molti versi, si tratta di affari come al solito… Francamente, è grazie a un team di persone così straordinario che posso passare la maggior parte del mio tempo a lavorare sulle chitarre. Le basi che Bob ha gettato con i nostri team di produzione e di sviluppo del prodotto, di costruzione e di manutenzione delle macchine, con l’approvvigionamento del legno e il lavoro che Kurt ha fatto per costruire i nostri team di vendita, marketing, finanza e risorse umane… Sono così fortunato, perché lavoro sempre con delle persone incredibili. Abbiamo veterani del settore, persone straordinarie nel loro campo e questo rende davvero facili quelle che si potrebbero definire le parti più tipiche della gestione di un’azienda. Non fraintendetemi: ogni giorno c’è una grande mole di lavoro, ma le persone con cui lavoriamo sono dei veri professionisti e sono così bravi in quello che fanno che rendono tutto un piacere.”

Mentre il ruolo di Andy potrebbe non cambiare in modo drastico, Bob, Kurt e Andy concordano, in puro stile Taylor, che le nostre chitarre continueranno a, e dovranno, evolversi.

“Ogni volta che ho fatto qualcosa su una chitarra, la gente dice: ‘Cambierà qualcosa?’. Ma in realtà quello che stanno cercando di dire è: ‘La peggiorerà?’. Mi è successo un milione di volte… Quindi sentiti libero di cambiare le cose, Andy. Migliorale.”

Andy comprende che adesso fa parte della sua maggiore responsabilità guidare l’azienda in modi che migliorano l’attività complessiva. Ma la domanda è: per chi è meglio?

“Nel nostro caso, possiamo fare meglio per i musicisti che serviamo, i fornitori da cui compriamo il materiale, le persone che vendono le nostre chitarre e i nostri dipendenti. Quindi, quando cambiamo qualcosa per fare meglio, ecco chi ne trae beneficio.”

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  • 2022 Edizione 3 /
  • Tecnica delle plettrate in su, accordi di undicesima minore e movimenti in triade

Guitar Lessons

Tecnica delle plettrate in su, accordi di undicesima minore e movimenti in triade

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Il fenomenale chitarrista R&B Kerry “2 Smooth” Marshall torna a darci altri consigli su come suonare R&B con una acustica

ora di un’altra tripletta di lezioni di chitarra col sessionman, educatore musicale e fenomeno dell’R&B Kerry “2 Smooth” Marshall.

Kerry apporta un’esperienza ultraventennale nel mondo della musica nelle sue famose videolezioni online di chitarra e nella sua scuola digitale, Kerry’s Kamp. Con circa 135.000 iscritti su YouTube e nuove videolezioni pubblicate ogni settimana, Kerry è una continua fonte d’ispirazione musicale per chi desidera esplorare le tecniche chitarristiche del mondo R&B, gospel e neo-soul. Ma Kerry è anche un sessionman che vanta collaborazioni con artisti del calibro di Tori Kelly, Jason Derulo, Chrisette Michele e Ledisi.

Tecnica delle plettrate in su

Iniziando con una lezione d’apertura, Kerry mostra una semplice tecnica per le plettrate verso l’alto che apporta un sottile accento ritmico al tuo tocco. Impara questo trucchetto da Kelly stesso e aggiungi un dettaglio R&B al tuo sound.

L’accordo di undicesima minore

Subito dopo, Kerry esplora un importante sound nella chitarra R&B, facilmente traducibile anche in altri stili: l’accordo di undicesima minore. Qui Kerry insegna a usare l’undicesima minore come sottile variazione del più comune accordo di settima minore.

Movimenti in triade

Infine, Kerry scende nel dettaglio con una lezione avanzata improntata sui movimenti in triade, un’altra sottile tecnica da usare per insaporire il tuo stile e creare un’elegante vibe R&B.

Vuoi altre lezioni di chitarra acustica R&B da Kerry “2 Smooth” Marshall? Ricorda di visitare il suo canale YouTube e di iscriverti ai suoi video formativi settimanali.

Showcase Custom, secondo round

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Ecco altre splendide chitarre del nostro programma di personalizzazione, con legni pregiati e dettagli estetici accattivanti.Ecco altre splendide chitarre del nostro programma di personalizzazione, con legni pregiati e dettagli estetici accattivanti.

Nell’ultimo numero abbiamo presentato alcune bellissime chitarre Taylor personalizzate progettate per un evento esclusivo di rivenditori in combinazione con il ritorno del NAMM Show ad Anaheim, in California, tenutosi lo scorso giugno. Queste chitarre, realizzate in numero molto limitato, riflettono il meglio dell’abilità dei nostri liutai e della nostra creatività estetica. Ricchi di caratteristiche straordinarie, molti di questi strumenti vantano dei legni di primissima qualità che conferiscono loro ricchezza musicale e bellezza in termini visivi.

Per mettere bene in evidenza i dettagli di queste chitarre, abbiamo creato una galleria migliorata sul sito web della Taylor. È inoltre possibile esplorare la collezione in continua crescita di chitarre personalizzate Taylor, con splendide foto, specifiche complete e i rivenditori da cui trovarle su https://customs.taylorguitars.com.

E se una di queste chitarre vi ispira, contattate il nostro servizio clienti e vi aiuteremo a trovarla.

Custom Grand Concert dodici tasti (#7)

Fondo/fasce: noce
Top: noce
Caratteristiche: filetto del corpo in bloodwood, rosetta ad anello singolo in acero/bloodwood motivo Roman Leaf, intarsi della tastiera della prima Serie 900 in acero/bloodwood, rifinitura lucida shaded edgeburst cioccolato

Custom Grand Auditorium (#36)

Fondo/fasce: acero a foglia larga
Top: abete Sitka
Caratteristiche: poggiabraccio e filetto in acero fiammato, rosetta ad anello singolo in acero/koa, intarsi della tastiera motivo Art Deco in acero/koa, rifinitura lucida Koi Blue con tassello posteriore

Custom Grand Symphony (#16)

Fondo/fasce: palissandro indiano
Top: abete Lutz
Caratteristiche: filetto in bloodwood, rosetta ad anello singolo in acero/bloodwood, intarsi della tastiera/paletta motivo Bouquet in acero/bloodwood, piroli del ponticello in osso colorati con fermacorde in opale rosso australiano, bordi del corpo smussati, finitura Silent Satin con fondo e fasce Kona edgeburst e top Wild Honey Burst

Custom Grand Symphony (#18)

Fondo/fasce: acero a foglia larga
Top: abete Sitka
Caratteristiche: filetto del corpo in cocobolo, rosetta ad anello singolo in paua, piroli del ponticello in osso colorati con fermacorde in opale verde australiano, meccaniche Gold Gotoh 510, finitura lucida Amber con trattamento di invecchiamento per il top

Custom Grand Symphony (#28)

Fondo/fasce: mogano neo-tropicale
Top: abete Sitka
Caratteristiche: filetto in ebano dell’Africa occidentale, rosetta ad anello singolo in paua, intarsi della tastiera/paletta e del ponticello motivo Nouveau in paua e madreperla, meccaniche Gold Gotoh 510, finitura lucida nera trasparente

Custom T5z (#19)

Corpo: sapelli
Top: acero trapuntato a foglia larga
Caratteristiche: filetto nero con bordatura verde sul bordo in abalone. Intarsi della tastiera/paletta motivo Byzantine in abalone verde, piroli del ponticello in osso colorati con fermacorde con opale verde australiano, finitura edgeburst lucida Supernova

Custom Grand Auditorium (#27)

Fondo/fasce: palissandro indiano
Top: sequoia
Caratteristiche: filetto e poggiabraccio in bloodwood, rosetta ad anello singolo in paua, intarsi della tastiera motivo Leaf in paua, piroli del ponticello in osso colorati con fermacorde in opale rosso australiano, rifinitura Silent Satin con top shaded

Custom Grand Symphony (#28)

Fondo/fasce: blackwood figurato
Top: abete europeo
Caratteristiche: filetto e poggiabraccio in bloodwood, rosetta ad anello singolo in bloodwood, intarsi della tastiera motivo Running Horses in acero/koa, meccaniche Gotoh 510

  • 2022 Edizione 3 /
  • On the Bench: le basi della cura della chitarra con Rob Magargal

On the Bench: le basi della cura della chitarra con Rob Magargal

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Il gestore di rete e di assistenza della Taylor spiega gli strumenti per la manutenzione di base di una chitarra, come cambiare le corde e controllare correttamente l’umidità.

Le chitarre acustiche sono dei sistemi complessi di parti interconnesse e, più le suoniamo, più beneficiano di una manutenzione ordinaria. Essendo in legno, sono anche soggette alle condizioni ambientali in cui sono custodite. Ecco perché comprendere le nozioni di base sulla cura della chitarra vi aiuterà molto a mantenere lo strumento in salute e in condizioni ottimali. Una volta apprese tecniche come cambiare le corde e gestire l’umidità, la manutenzione della chitarra sarà facile.

Il gestore di rete e di assistenza della Taylor Rob Magargal ha trascorso molti anni sui banchi da lavoro della fabbrica Taylor e sul campo, mettendo a punto chitarre di ogni forma e dimensione per ottenere una suonabilità perfetta e un suono ricco. In questi video, Rob identifica gli articoli essenziali di un kit per la cura della chitarra, spiega le basi della gestione dell’umidità e mostra come cambiare correttamente le corde praticamente per tutti i tipi di chitarra acustica.

Gli strumenti essenziali per la cura della chitarra

Qui Rob identifica gli strumenti essenziali per la manutenzione di base di una chitarra, come cambiare le corde.

Cambiare le corde: chitarra acustica a sei corde in acciaio

In questo video Rob illustra l’unica abilità di cura della chitarra che ogni chitarrista dovrebbe sapere a memoria: come cambiare correttamente le corde. Si noti che questo video si rivolge nello specifico alle chitarre acustiche a sei corde in acciaio.

Cambiare le corde: chitarra acustica con corde in nylon

Se avete mai suonato una chitarra con corde in nylon come la Taylor 312ceN, l’Academy 12e-N o una chitarra classica tradizionale, probabilmente avrete notato che le corde si fissano sia al ponticello sia alla paletta in modo diverso rispetto alle chitarre con corde in acciaio. In questo video Rob spiega come mettere le nuove corde in nylon su una chitarra. Ricordate che sulle chitarre con questo tipo di corde non dovrebbero mai essere montate delle corde in acciaio, perché la tensione ulteriore causerebbe dei danni allo strumento.

Cambiare le corde: chitarra acustica a dodici corde

Con un numero doppio di corde rispetto a una sei corde, cambiare le corde a un modello che ne ha dodici potrebbe scoraggiarvi. Ma non preoccupatevi: la procedura non è molto diversa, come spiega Rob.

Cambiare le corde: chitarre con paletta inclinata

I modelli con la paletta inclinata, come le nostre Grand Concert a dodici tasti, fondono la procedura usata per le chitarre normali con corde in acciaio e quella per i modelli con corde in nylon. Qui Rob mostra come sostituire le corde di una chitarra con paletta inclinata.

Cura della chitarra: gestire l’umidità

L’umidità relativa è uno dei più importanti fattori da considerare nella manutenzione di una chitarra. Il legno è molto reattivo alle variazioni climatiche e un’umidità eccessiva o insufficiente nell’ambiente dove è custodita una chitarra acustica può causare problemi di suonabilità e di suono. Per fortuna, mantenere i livelli di umidità raccomandati intorno allo strumento è piuttosto semplice. In questo video Rob ne spiega le basi.