Koa-RESTORATION-LEAD

Coltivare il futuro del koa

Scorri verso il basso

Insieme a Pacific Rim Tonewoods e ad altri importanti partner alle Hawaii, ci stiamo impegnando a sviluppare modelli di successo per la riforestazione del koa e la produzione di legno per strumenti musicali per le generazioni future.

Nei numeri precedenti di Wood&Steel, il direttore della sostenibilità delle risorse naturali di Taylor, Scott Paul, ha condiviso gli aggiornamenti sui progetti di restauro della foresta di koa che abbiamo intrapreso alle Hawaii con il nostro partner di lunga data, Pacific Rim Tonewoods. In concomitanza con il lancio della nostra Serie 700 in koa, abbiamo voluto offrire una nuova prospettiva sulle varie sfaccettature del nostro lavoro di gestione delle foreste alle Hawaii, tra cui la selezione dei semi, la ricerca genetica e la coltivazione delle piante mentre ci occupiamo della fornitura futura di alberi.

Chiunque ami il koa sa che cresce esclusivamente alle Hawaii. Probabilmente, però, non tutti conoscono lo stato ecologico in cui versa questo legno. A causa della sua origine in un’isola remota, molti spesso si chiedono se il koa sia una specie a rischio (e no, non lo è). Tuttavia, col passare del tempo, l’habitat del koa hawaiano è cambiato, generando un graduale declino della salute delle foreste native in alcune aree. Di conseguenza, la rigenerazione del koa è stata rallentata da una serie di fattori.

Prima dell’insediamento polinesiano nelle isole Hawaii intorno al 1200 d.C., il koa cresceva in una vasta gamma di habitat e altezze, fino ad arrivare quasi al livello del mare. Si tratta del più grande albero originario delle Hawaii e cresce molto rapidamente (circa un metro e mezzo all’anno per i primi cinque anni in condizioni sane). Come risorsa, il legno di koa era utilizzato dagli hawaiani per diversi scopi, ma soprattutto per le canoe. Quando, nel 1778, l’approdo del capitano James Cook, esploratore della marina britannica, generò un notevole incremento di contatti dall’occidente, e di conseguenza un maggiore interesse per il koa come materiale per realizzare prodotti come mobili e armadi, le foreste native di questo albero si estendevano ancora fino a un’altezza di oltre 600 metri.

In seguito all’introduzione del bestiame alle Hawaii nel 1793 da parte di un altro esploratore britannico, il capitano George Vancouver, che portò in dono al re Kamehameha sei mucche e un toro, l’ecosistema delle isole Hawaii subì una graduale trasformazione. Le foreste vennero disboscate per far spazio agli allevamenti e, al contempo, una crescente popolazione di bestiame selvatico iniziò a nutrirsi delle piantine di koa appena germogliate, soffocando così la rigenerazione naturale di questi alberi.

Inoltre, dall’inizio fino alla metà del 1800, la conversione agricola verso la produzione su larga scala di zucchero e ananas logorò alcune delle foreste di koa a bassa quota. Col tempo e con l’aumento della popolosità delle Hawaii, lo sviluppo dei terreni privati, insieme all’introduzione di piante, animali, insetti e microrganismi non nativi, comprese le specie invasive, hanno ridotto ulteriormente la propagazione naturale del koa.

Oggi le foreste di koa alle Hawaii sono ancora abbondantemente presenti sul territorio, ma la maggior parte di queste specie si trova oltre i 1.200 metri, su terreni privati o protetti, ed è in fase di declino. La rigenerazione è, infatti, gravemente ostacolata da molteplici minacce, tra cui il bestiame selvatico, le pecore e i maiali; specie di piante invasive come la ginestra, lo zenzero kahili e la guava fragola; varie specie di erba originariamente introdotte per il pascolo del bestiame che hanno alimentato la diffusione degli incendi nelle aree forestali; e un fungo del suolo, comunemente noto come fusarium, che ha ucciso diversi alberi di koa a bassa quota.

Per questi motivi, le isole sono state oggetto di numerose ricerche e iniziative, tuttora in corso, che mirano alla riqualificazione delle foreste native per invertire questo declino. Tra gli altri, sono stati avviati interventi per migliorare le condizioni ecologiche delle foreste esistenti e per ripristinare alcuni spazi, precedentemente convertiti in pascoli, al loro stato di foresta nativa.

Koa e chitarre

La storia di Taylor nella produzione di chitarre di koa risale a oltre 40 anni fa. Pacific Rim Tonewoods è nel settore della fornitura di questo legno da circa 30 anni e si è occupata dell’approvvigionamento del koa che Taylor ha acquistato per gran parte di questo periodo.

Questo legno era ampiamente disponibile fino a circa 20 anni fa, finché le Hawaii non hanno smesso di disboscare i terreni per scopi agricoli e la quantità di koa in arrivo sul continente si è inevitabilmente ridotta. Dopo di che, la sua disponibilità è dipesa principalmente, e in maniera imprevedibile, da recuperi di fortuna. Circa sette anni fa, nel 2015, il koa è diventato estremamente difficile da reperire per le chitarre, così Bob Taylor e Steve McMinn di Pacific Rim Tonewoods hanno iniziato a documentarsi per capire meglio le prospettive di approvvigionamento future. I due sono ulteriormente informati sui sistemi di tutela del koa su terreni pubblici e privati alle Hawaii e hanno incontrato i grandi proprietari terrieri della zona per discutere delle loro attuali esigenze di gestione del territorio e degli obiettivi futuri di preservazione di questa risorsa.

In questo video Steve McMinn e altri partner parlano della missione della Siglo Tonewoods e dei nostri sforzi per la riforestazione alle Hawaii.

Questo impegno ha portato al lancio di una partnership formale tra Taylor Guitars e Pacific Rim Tonewoods. Fino a poco tempo fa, la joint venture si chiamava Paniolo Tonewoods. “Paniolo” è un riferimento ai cowboy messicani che originariamente vennero alle Hawaii per insegnare agli abitanti del posto le tecniche di allevamento (importando le loro chitarre e la loro musica), ma il nome è stato recentemente cambiato in Siglo Tonewoods (“Siglo” significa “secolo” in spagnolo e questo nome allude alla visione a lungo termine dell’azienda).

La missione di Siglo è quella di fornire e produrre il legno hawaiano per il futuro (100 anni e oltre) e creare una scorta duratura di questo materiale per gli strumenti musicali. Parte di questo impegno consiste nel contribuire alle attuali iniziative di restauro delle foreste tramite contratti con i proprietari terrieri hawaiani. Questo include anche lo sviluppo di vari progetti di miglioramento degli alberi per incrementare la resistenza all’avvizzimento e per coltivare arboreti da seme.

Contratti di gestione

Come ha spiegato Scott Paul in una precedente rubrica di Wood&Steel (“Tre parti in armonia”, 2020/Vol. 97/Edizione 2), Siglo (allora Paniolo) ha adottato un approccio innovativo in merito ai contratti di gestione, attuato per la prima volta dal Servizio Forestale degli Stati Uniti e da The Nature Conservancy, che affronta i costi ingenti associati al restauro delle foreste. Invece di pagare un proprietario terriero per tronchi o diritti di raccolta, Siglo sarebbe autorizzata a tagliare un numero selezionato di alberi di koa da un’area forestale compromessa e in cambio investirebbe il valore in dollari di quel legno in progetti di riqualificazione forestale della zona.

Casi dimostrativi

Uno dei primi progetti, che ha anche avuto il merito di aiutare Siglo a dimostrare le sue capacità e le sue intenzioni etiche alle Hawaii, è stata una collaborazione con Haleakala Ranch a Maui nel 2015. Nel 1985 erano state piantate due distese di alberi di koa nell’ambito di un programma chiamato “A Million Trees of Aloha” (in italiano “un milione di alberi di Aloha”), avviato da Jean Ayoshi, la moglie dell’allora governatore delle Hawaii, George Ariyoshi. Purtroppo, questi alberi trentenni erano in deterioramento per vari motivi che hanno ostacolato la loro crescita: avevano infatti cominciato a mostrare segni di putrefazione al centro, destinati a peggiorare. In genere, gli acquirenti tendono a evitare questi alberi di koa “giovani” (non provenienti da foreste naturali), in particolar modo quelli compromessi. Ma Siglo, in un primo momento, e poi Taylor, hanno accettato di lavorare con questo legno. Taylor ha dovuto adottare ulteriori misure per essere in grado di realizzare chitarre con questo materiale, ma l’ha poi utilizzato su decine di migliaia di strumenti, dimostrando che il koa di recente introduzione può comunque produrre legno di qualità. Il ricavato della vendita del legno ha permesso a sua volta all’Haleakala Ranch di aumentare i suoi sforzi per ricostituire le foreste delle aree vicine.

Un altro dei primi progetti, lanciato nel 2017, è stato un contratto quinquennale di conservazione e gestione di 1.600 acri di proprietà di Kamehameha Schools, il più grande proprietario terriero delle Hawaii, della foresta di Honaunau, situata sull’isola di Hawaii. Anche se era stato stabilito l’ordine di ricostituire la foresta, dagli anni ’90 non era stata avviata nessuna iniziativa di raccolta delle piante. Di conseguenza, non c’erano fondi per finanziare gli interventi necessari. Il contratto ha permesso a Siglo di raccogliere un numero selezionato di alberi di koa e, secondo il direttore generale di Siglo Nick Koch, i proventi della vendita del legno, circa 1,6 milioni di dollari, sono stati destinati a un fondo di conservazione, di cui finora è stato speso circa 1 milione, in gran parte per la recinzione e il controllo degli animali. In seguito a tali iniziative, quest’area ora è popolata da migliaia di nuovi alberi di koa.

Il koa è uno dei pochi legni al mondo le cui prospettive di fornitura per i prossimi 25 anni sono più rosee di quelle odierne.

Questa tipologia di contratti di gestione basati su progetti consentiranno a Siglo di avere una fornitura di koa più prevedibile a breve termine, e nel frattempo di occuparsi di altri interventi attualmente in corso per riqualificare le foreste e piantare alberi, al fine di ottenere una fornitura più sostenibile a lungo termine nel prossimo secolo. Insomma, possiamo ben sperare per il futuro: il koa è uno dei pochi legni al mondo le cui prospettive di fornitura per i prossimi 25 anni sono più rosee rispetto a quelle odierne.

Piantare alberi e costruire un mulino

Siglo ha fatto un passo importante verso i suoi obiettivi di coltivazione nel 2018, quando Bob Taylor ha acquistato 564 acri di terreno da pascolo sull’isola maggiore, vicino a Waimea, area che, fino a 150 anni prima, era una leggendaria foresta di alberi di koa. Questo spazio, ufficialmente denominato Siglo Forest, è stato affittato da Siglo Tonewoods, che ha ideato un piano per piantare specie native miste nelle aree a forte pendenza. Queste saranno messe da parte per la preservazione delle specie (30% della proprietà) e per piantare koa nelle aree meno ripide per la produzione di legname. Quando la Siglo Forest sarà matura, potrà produrre più del doppio del volume di legname che Taylor usa attualmente, e il piano di gestione garantirà una fornitura continua e diversificata di foreste native operative.

Come abbiamo annunciato nell’autunno del 2021, a giugno dello stesso anno abbiamo iniziato a piantare semi di koa e specie miste di alberi e arbusti nativi su 20 acri. Abbiamo imparato molto da quest’esperienza, il che ci aiuterà con le piantagioni future. L’obiettivo è piantare 150.000 alberi di koa entro il 2030, con il primo raccolto utile probabile nel 2050.

Quando la Siglo Forest sarà matura, il piano di gestione garantirà una fornitura continua e diversificata di foreste native operative.

I piani prevedono inoltre la costruzione di un mulino, che permetterà a Siglo Tonewoods di tagliare il koa in modo efficiente alle Hawaii e consentirà l’integrazione verticale. Una volta operativo, il mulino sarà usato per tagliare sia il koa che altri legni per strumenti, oltre che per prodotti a valore aggiunto come pavimentazione per le isole. Il mulino consentirà un migliore controllo della qualità e genererà posti di lavoro per sostenere l’economia locale. Nel frattempo, Siglo ha anche migliorato le sue capacità operative alle Hawaii investendo nelle sue attrezzature per il taglio, che permettono un utilizzo migliore e più consapevole degli alberi.

Selezione dei semi e miglioramento genetico del koa

Una delle fasi cruciali nello sviluppo di un programma efficiente per la coltivazione di koa, che miri a produrre alberi sani e appetibili, è condurre una ricerca ecologica adeguata. Grazie alla loro esperienza con gli altri legni per strumenti, sia Bob Taylor che Steve McMinn comprendono l’importanza di questi studi. Per Bob, il progetto di piantare l’ebano in Camerun, meglio conosciuto come l’Ebony Project, era basato su una ricerca innovativa che Bob ha finanziato per comprendere meglio le strategie di propagazione di questo albero. Quanto a Steve, alcuni lettori forse ricorderanno l’articolo di Wood&Steel (Inverno 2015, Vol. 81) relativo alla ricerca da lui condotta sulla coltivazione dell’acero a foglia larga. L’obiettivo era ottenere alberi con dei tratti genetici vantaggiosi per gli strumenti musicali, ovvero con una bella linea estetica. Quel progetto ha continuato a progredire: sono attualmente in corso degli esperimenti su un ex terreno agricolo vicino al mulino dell’azienda della Skagit Valley, nello stato di Washington, chiamato Utopia Forest, per stabilire se l’aspetto degli alberi è geneticamente trasmissibile. Esistono degli interessanti punti in comune tra l’acero e il koa: per entrambe le specie, che raggiungono rapidamente una dimensione utile, si mira a coltivare alberi dall’aspetto adeguato a strumenti musicali e altri prodotti di qualità. Steve e il suo team, di recente, hanno pubblicato un video che illustra questo progetto.

Kevin Burke, un orticoltore di Pacific Rim Tonewoods che ha supervisionato gli studi sull’acero, coordina un progetto simile con il koa alle Hawaii. L’obiettivo è quello di favorire la propagazione di alberi geneticamente superiori per ripristinare la varietà e la qualità genetica del koa, in declino nei secoli passati.

Il progetto è stato lanciato nel 2016, poco dopo la fondazione di Siglo Tonewoods, come collaborazione di ricerca con Haleakala Ranch e condotta presso Native Nursery a Maui. È iniziata con la coltivazione cooperativa di alberi di Haleakala Ranch selezionati per la straordinaria qualità del legno. Attualmente, 65 linee clonali di questi alberi sono in fase di propagazione e 10 sono già state micropropagate.

Analogamente, Siglo ha sponsorizzato la ricerca con l’Hawaiian Agricultural Research Center (HARC) e lo U.S. Forest Service Tropical Tree improvement Program. Questa collaborazione ha portato nel 2021 al lancio di un programma di selezione dei semi che mira a contribuire alla riforestazione delle Hawaii con alberi di koa di stampo genetico superiore. I semi, ottenuti da 42 alberi “plus”, ora sono in fase di crescita e vengono testati per la resistenza all’appassimento, caratteristica che ottimizzerà la loro robustezza. Lo studio ha anche identificato molti altri alberi “plus” di cui sarà presto possibile raccogliere i semi.

Rispetto all’acero, spiega Burke, il koa è più facile da coltivare a partire dai semi. E nei koa giovani la linea è anche visibile da prima.

Gli alberi di koa di due anni che abbiamo piantato al Keauhou Ranch sull’isola di Hawaii

Siglo, inoltre, ha lavorato insieme ad HARC per piantare un arboreto/prova di progenie di 1.600 alberi nella Siglo Forest, usando sementi resistenti alla siccità. Questa iniziativa dovrebbe produrre semi operativi nel 2026. HARC ha anche avviato un programma di test della resistenza all’avvizzimento con cultivar sviluppate all’Haleakala Ranch e semi ottenuti dal programma del 2021 di selezione/miglioramento degli alberi di Siglo.

A oggi, 2022, sono stati piantati 12.500 alberi frangivento nella Siglo Forest, l’arboreto di semi è stato ampliato e sono stati coltivati altri 30 acri di koa e foresta mista. Nel frattempo, Siglo Tonewoods ha anche affittato una serra a Waimea per sostenere il suo progetto di propagazione. In definitiva, afferma Steve McMinn, la ricerca e il pensiero strategico che il team ha destinato allo sviluppo e al perfezionamento dell’intervento di coltivazione vuole rappresentare un modello per altri che si interessano alla riforestazione e all’afforestamento (piantare alberi su terreni che non erano coperti da foreste da tempo, come i pascoli) di koa in tutte le Hawaii. Scopri altre storie sull’avanzamento di questi progetti nelle prossime edizioni di Wood&Steel.

Un sistema di sostegno costante

Scorri verso il basso

Come il nostro team che cura i rapporti con gli artisti si è evoluto per soddisfare le esigenze in continua evoluzione dei musicisti

Ripercorrere i quasi 50 anni di carriera di Taylor significa scoprire un percorso pieno di innovazioni volte a soddisfare al meglio ogni tipo di musicista: da quello che si esibisce nel weekend, passando per quello che si diletta a suonare in cameretta fino ad arrivare ai nomi più noti del panorama musicale. Un’esigenza comune a tutti è da sempre la suonabilità. Un’altra è il profilo tonale: chiarezza, bilanciamento, affidabilità delle prestazioni, funzionalità e non solo. Anche lo sviluppo di una linea di strumenti sempre più diversificata che rifletta l’incredibile gamma di preferenze dei chitarristi e le varietà musicali del mondo si è rivelato un elemento essenziale.

Questa filosofia innovativa rispecchia perfettamente le nostre relazioni con gli artisti, i cui desideri musicali ed esigenze concrete hanno contribuito a plasmare il nostro approccio alla progettazione e, in molti casi, ci hanno spinto a creare strumenti più utili ed espressivi. Il nostro sistema di assistenza si basa sui rapporti genuini, e per costruirli è necessario un programma efficace di relazione con gli artisti (RA). Ovviamente, nel corso del tempo, Taylor è cresciuta e le esigenze dei musicisti sono cambiate, ma il nostro team si è adattato e ha accolto un’ampia e varia gamma di artisti di talento nella nostra famiglia.

Piantare il seme Taylor

Per molto tempo abbiamo gestito le relazioni con gli artisti alla vecchia maniera, partendo dal basso. D’altronde eravamo i nuovi arrivati che cercavano di farsi strada nel panorama musicale. Per fortuna, il nostro biglietto da visita erano i manici di Bob Taylor, facili da suonare e con un bel profilo sottile: bastava mettere una Taylor nelle mani di un chitarrista e il lavoro era fatto. Anche la vicinanza a Los Angeles ha aiutato. Infatti siamo riusciti a trovare un paio di proprietari di negozi di strumenti che hanno consigliato le nostre chitarre ai musicisti della zona di Laurel Canyon con cui erano in contatto, oltre che ad altri professionisti che passavano di lì per esibirsi o registrare.

Sin da subito, Bob legò con alcuni degli artisti che avevano scoperto le Taylor, contatti che in alcuni casi hanno portato a collaborazioni creative nell’ambito di modelli signature e hanno permesso a questi artisti di articolare meglio i loro stili di esecuzione unici, come il fingerstyle a 12 corde del talentuoso Leo Kottke e il progressive bluegrass picking di Dan Crary. In questo senso, gli artisti sono spesso stati parte del processo creativo di Taylor. Negli anni ‘80, il maestro di fingerstyle Chris Proctor ci ha aiutato a sviluppare la prima Grand Concert, mentre un decennio più tardi l’interesse della star del country Kathy Mattea ha spinto Bob a terminare la forma del corpo del nostro fiore all’occhiello, la Grand Auditorium a cui stava lavorando. Anche se Bob non ha mai aspirato a occuparsi direttamente di RA (lo scrive nel suo libro “Guitar Lessons”), i rapporti personali che ha stretto nel corso della sua carriera con artisti come Taylor Swift (e suo padre, che anni fa chiamò Bob per tessere le lodi musicali della figlia allora dodicenne) e Zac Brown, testimoniano l’importanza dell’essere onesti e genuini.

Man mano che Taylor si evolveva, si è espansa anche la nostra rete di contatti con gli artisti: altri collaboratori chiave di Taylor, come l’ex direttore delle vendite TJ Baden, il veterano dell’industria musicale Bob Borbonus e la coordinatrice delle RA di lunga data Robin Staudte, hanno trasformato la nostra attività di RA in un’infrastruttura più formalizzata, contribuendo a instaurare un rapporto con alcuni dei nomi più importanti della musica, tra cui Kenny Loggins, John Denver, Dave Matthews, Clint Black, Sarah McLachlan, The Edge degli U2 e molti altri.

Oggi, chiaramente, l’industria della musica è totalmente diversa da quando Taylor ha iniziato a costruire chitarre nel 1974. Anzi, gran parte degli artisti sono pronti ad affermare che è radicalmente cambiata anche rispetto a due anni fa. Parole come “influencer” ed “engagement” avrebbero suscitato stupore nella maggior parte dei professionisti del settore, ma oggi i social sono un fattore chiave di quest’industria. La musica oggi si concentra sempre di più sulle pubblicazioni fai-da-te e sull’autopromozione, oltre che su un pubblico globale che continua a diversificarsi. Alla luce di questi cambiamenti, abbiamo preso coscienza di un paio di cose. Innanzitutto, abbiamo capito non sarebbe più stato possibile affidarsi esclusivamente a nomi di spicco senza cercare il favore degli artisti emergenti e in ascesa. I giorni in cui un singolo nome importante era sufficiente a promuovere un marchio di strumenti ormai sono passati. In secondo luogo, ci siamo resi conti che potevamo promuovere meglio i nostri artisti mentre loro ci aiutavano a raggiungere i nostri obiettivi. Infine, abbiamo preso coscienza del fatto che in quanto brand in evoluzione in uno scenario sempre più eterogeneo e internazionale, avevamo bisogno di un team di RA che fosse realmente internazionale in termini di estensione e stile.

Conosci il team di relazioni con gli artisti Taylor

Il team RA di Taylor, con sedi a El Cajon, in California, nei principali hub musicali come Nashville e Los Angeles, nonché in Europa e in Asia, è un gruppo divertente e competente, con un approccio poliedrico alla creazione dei roster di artisti.

In California, Tim Godwin e Lindsay Love-Bivens si dividono il compito continuo di contattare gli artisti, mantenere i rapporti, spedire le chitarre e recarsi ai concerti per incontrare di persona i musicisti. Per fare un buon lavoro, però, serve tutto l’aiuto possibile, quindi anche gran parte del team di marketing di Taylor è coinvolto nelle relazioni con gli artisti. Jay Parkin e Andrew Rowley si occupano della produzione di contenuti, collaborando con una squadra internazionale di videografi, fotografi, redattori e altri creativi per produrre performance video esclusive e interviste esclusive agli artisti. Sergio Enriquez e Matt Steele portano questi contenuti a un pubblico più ampio attraverso i social, mentre Billy Gill mette in relazione il marketing e gli artisti con il reparto vendite. Devin Malone si occupa dell’area di Nashville e Terry Myers contribuisce a soddisfare i musicisti con configurazioni personalizzate e altre modifiche che rendono unica la chitarra di ogni artista.

All’estero, il team è in continua espansione. Andy Lund ricopre l’area della Cina, mentre Masaki Toraiwa gestisce Taylor in Giappone. Dan Boreham dal Regno Unito aiuta nel coordinamento delle attività degli artisti in Europa. Dalla sua sede in Colombia, invece, Juan Lopera si occupa degli artisti dell’America Latina.

Qui di seguito troverai una breve intervista ai membri del team che si occupano degli artisti, che hanno accettato di mettersi davanti alla telecamera stavolta, e parlare dei loro chitarristi preferiti, dei loro talenti nascosti, delle loro opinioni discutibili sulla pizza e molto altro.

Formare la famiglia

Nel 2010, Taylor ha nominato Tim Godwin direttore delle relazioni con gli artisti e dell’intrattenimento internazionale. La lunga carriera di Tim come musicista e turnista in giro per il mondo, oltre che come professionista del settore in generale lo ha messo nella posizione ideale per gestire un programma per artisti: innanzitutto ha vissuto la vita di un musicista e ne comprende le esigenze, inoltre, ha lavorato come [direttore delle relazioni con gli artisti] per Line 6, quindi grazie a quell’esperienza aveva già molti contatti. Questo fattore è stato fondamentale, perché questo settore non coinvolge solo gli artisti stessi, ma anche i tecnici, i direttori musicali, le società di allestimento dei concerti, i locali, i manager, i tecnici del suono e i fonici da studio e live: insomma, tutti coloro che lavorano nel settore della musica.

Godwin è stato chiamato a fare ciò che sa fare meglio: far conoscere le nostre chitarre agli artisti e permettere loro di provare una Taylor. Formare un roster di musicisti, tuttavia, richiede tempo e risorse, e noi non avevamo i mezzi necessari o il patrimonio consolidato di altri marchi storici. Quello che avevamo, però, in quanto azienda, era il nostro impegno per l’innovazione del design, ed è questo che continua a distinguerci dai brand storici e che fa di noi un’azienda estremamente all’avanguardia nel campo della costruzione degli strumenti musicali. Inoltre, le nostre chitarre sono sempre state caratterizzate da linearità e affidabilità delle prestazioni, oltre che da un servizio e un’assistenza che erano musica per le orecchie di un musicista in tour.

Tuttavia, Godwin riconosce che dopo il suo arrivo, per ottenere il sostegno dell’azienda che lui riteneva necessario, dovette dimostrare come le partnership con gli artisti potessero far progredire gli obiettivi di Taylor in modi che i responsabili delle decisioni aziendali potessero appoggiare.

C’è un’esperienza in particolare che ricorda, che si rivelò un momento di svolta per lo sviluppo del settore degli artisti da Taylor. Accadde nel 2012, quando il cantautore Philip Phillips si stava facendo conoscere nel programma televisivo American Idol.

“Durante un’esibizione, dopo la canzone, a un certo punto Randy Jackson [il giudice dello show] disse a Philip: ‘Ehi, bella chitarra. Che modello è?’” racconta Godwin. “Era una Taylor GS7, uno dei primi esemplari di Grand Symphony. Dopo che l’episodio andò in onda, controllammo il sito per verificare l’affluenza alla pagina della GS7. Normalmente, le visualizzazioni di quella sezione ammontavano a una decina in tutto l’arco del mese, ma dopo American Idol sono arrivate a circa 5.000 in una sola settimana.”

Godwin ricorda che quello fu il momento in cui riuscì a dimostrare concretamente che gli artisti potevano fare la differenza.

Mettere le radici

Un altro fattore importante che ci ha spinto a sviluppare il nostro approccio alle relazioni con gli artisti è stato il panorama di Nashville, una vera e propria mecca per chitarristi acustici di spicco, per la musica country e americana, per gli ingegneri del suono e per praticamente chiunque sia coinvolto nella creazione di musica. Negli anni ‘90 ci siamo fatti conoscere grazie alla popolarità dell’allora nuova forma di corpo Grand Auditorium, che i tecnici e i turnisti locali amavano per il bilanciamento e la chiarezza affidabili in studio.

Ma Nashville non è una città qualunque: si tratta del cuore della musica roots americana, e i musicisti di questa zona applicano questo elemento tradizionalista alle loro scelte chitarristiche. Godwin ricorda di aver fatto di tutto per organizzare incontri con i gestori di locali noti come il Bluebird Café e con i dirigenti di Big Machine, un’importante etichetta indipendente. E nonostante la considerevole rappresentanza a Nashville, Taylor dovette comunque darsi parecchio da fare per ritagliarsi uno spazio in questa città.

“Nashville è la culla della Gibson”, spiega Godwin. “Taylor dovette davvero dimostrare che meritava di essere lì.”

Ma il duro lavoro paga sempre e le radici di Taylor a Nashville oggi sono più salde che mai. L’allestimento del nostro showroom Taylor e la distribuzione delle chitarre agli artisti locali hanno avuto un grosso impatto positivo: il nostro studio al SoundCheck Nashville, dove giriamo la nostra serie di performance acustiche Taylor Soundcheck, ha attirato un’ampia gamma di nuovi musicisti. E il lavoro continua a casa nostra, dove i veterani di Taylor come Terry Myers si occupano di configurazioni personalizzate per gli artisti e si assicurano che ogni chitarra che viene spedita suoni esattamente come l’artista desidera. Ormai non siamo più degli estranei a Nashville. Il responsabile delle relazioni con gli artisti, Devin Malone, vive e lavora a Music City e si occupa di assistere gli artisti, organizzare eventi e svolgere gran parte del lavoro dietro le quinte per promuovere il successo di Taylor in questa città.

Sviluppare nuovi rami

Nashville ci ha anche aiutato a riconoscere la crescente eterogeneità del mondo della musica. Una parte importante dell’eredità americana di Nashville è la ricca storia musicale degli artisti afroamericani e il team di RA ha voluto integrare questo elemento per aiutare Taylor a diventare un marchio più inclusivo.

A questo proposito, abbiamo realizzato un articolo digitale speciale su Wood&Steel dell’estate 2021 intitolato Le nostre radici: onore alle influenze musicali afroamericane e scritto dalla responsabile delle relazioni con gli artisti e con la comunità di Taylor, Lindsay Love-Bivens. L’autrice ha proposto una panoramica multimediale riguardo all’impatto degli artisti afroamericani sulla musica odierna. Lindsay si è recata a Nashville per visitare il nuovissimo museo che ripercorre la lunga storia dei musicisti neri che hanno plasmato la musica americana. Quel viaggio ha avuto un effetto immediato: ci ha incoraggiato a pensare più in grande quando si tratta di creare una comunità di artisti che rifletta i nostri valori come azienda.

“La rappresentanza è importante”, afferma Lindsay. “Se vuoi raggiungere gli artisti di tutto il mondo, devi impegnarti a creare un programma diversificato.”

La prospettiva di Lindsay deriva da una vita passata nel mondo della musica. Da musicista con tanti tour e performance come artista indipendente alle spalle, ha iniziato a lavorare con Tim Godwin e il team di relazioni con gli artisti nel 2018. La sua competenza e i suoi numerosi contatti l’hanno resa una rappresentante ideale per artisti e comunità musicali che Taylor non aveva mai raggiunto prima.

“Volevo sviluppare, rafforzare e incrementare le nostre relazioni con gli artisti BIPOC [“Black, Indigenous, and People of Color”, ovvero la comunità nera, indigena e di colore], nonché ampliare il nostro coinvolgimento in generi a cui non siamo stati necessariamente associati in precedenza”, afferma Lindsay. “Suono la chitarra acustica sin da quando ero piccola, prediligendo neo-soul, R&B e hip-hop. In qualità di musicista donna nera, sapevo che appartenevamo a quelle comunità e a quei generi: bastava solo farci conoscere.”

I contributi di Lindsay hanno aiutato la nostra squadra globale a coinvolgere diverse comunità musicali in tutto il mondo.

Pensare in grande, ascoltare di più

Da quel momento, il reparto RA è cresciuto notevolmente. Andy Lund, veterano di Taylor da 16 anni, dirige le nostre attività in gran parte dell’Asia, comprese Cina, Hong Kong, Giappone, India, Corea del Sud, Tailandia e Vietnam. Masaki Toraiwa si occupa dell’area del Giappone e ha lavorato con Andy per portare artisti come Otake, Iko Asagiwa, Ryosuke Yufu e il tailandese Natee Chaiwut nel roster di Taylor negli ultimi anni.

In America Latina, Juan Lopera ha contribuito a dare a Taylor una posizione di spicco nel mondo della musica di quest’area, mettendoci in contatto con nomi importanti quali la cilena Mon Laferte, l’argentina Silvina Moreno, il messicano Jorge Blanco, Techy Fatule della Repubblica Dominicana e l’astro nascente colombiano Camilo. In Europa, Dan Boreham, originario del Regno Unito, ha instaurato rapporti con artisti come i cantautori George Ezra e Jade Bird, il trio pop New Rules e il polistrumentista Jake Isaac.

Ci mettiamo in contatto con nuovi artisti in tutto il mondo nello stesso modo in cui lo facciamo in Nord America: ascoltando le loro esigenze e soddisfacendole.

“L’esposizione mediatica non è più sufficiente”, afferma Lindsay. “Gli artisti di oggi sono hanno le idee più chiare in merito a cosa desiderano dalla loro partnership con il marchio. Le strette di mano e i post sui social non sono sufficienti.”

Instaurare un rapporto con l’artista è la parte facile. Coltivarlo è un altro conto. Come ogni relazione, i legami tra marchi e artisti richiedono impegno e sostegno reciproco.

“Artists are thinking, ‘What am I getting out of this other than a loaner guitar?’” says Jay Parkin, who oversees content production for Taylor. “What about long-term support? What can we do to make a difference for artists?”

Questa prospettiva ha contribuito alla nascita di una nuova ala del team di RA, incentrata sull’utilizzo dei contenuti per attirare e preservare i rapporti con gli artisti di Taylor. Carpire fedelmente lo stile di un musicista è un processo importante, e la stragrande maggioranza degli artisti non ha le risorse per promuoversi in maniera efficace in questo senso. Jay Parkin è a capo dell’aspetto contenutistico del reparto RA, insieme a un team internazionale incaricato di generare contenuti video e digitali di alta qualità che coinvolgano i musicisti di Taylor.

Queste iniziative includono serie come Taylor Soundcheck e Taylor Acoustic Sessions, produzioni continue che portano gli artisti nello studio Taylor per registrare versioni unplugged e completamente acustiche delle loro canzoni. In queste serie, abbiamo filmato la vincitrice del GRAMMY Allison Russell, gli emergenti pop-punk di Meet Me @ the Altar, la famosa cantautrice e produttrice Linda Perry, la superstar cilena Mon Laferte e molti altri.

Il sostegno ai nostri artisti può assumere diverse forme. Spesso costruiamo chitarre personalizzate uniche (non modelli signature) che possono aiutare gli artisti ad avvicinarsi a Taylor in modo del tutto personale. I fan del nostro marchio ricorderanno sicuramente l’iconica chitarra acustica viola di Prince, ma abbiamo anche creato pezzi personalizzati come la chitarra completamente bianca di Katy Perry, la famosa acustica a doppio manico di Richie Sambora e la chitarra di Zac Brown con il suo nome. Più di recente, abbiamo costruito modelli per superstar del pop del calibro di Billie Eilish e FINNEAS.

A volte, il sostegno agli artisti richiede degli interventi più diretti. Ogni musicista che sia mai stato in tour sa quanto sia frustrante non avere una chitarra quando se ne ha bisogno, che la propria sia stata rubata, persa o danneggiata. La sinergia con il nostro roster ci permette di spedire le chitarre al volo per garantire che gli artisti possano proseguire nel loro tour o completare le registrazioni. Lavoriamo a stretto contatto anche con le società di allestimento, assicurandoci che i nostri artisti abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno quando salgono sul palco.

“È un approccio di assistenza agli artisti costante”, spiega Tim Godwin. “Devi davvero essere un partner per il musicista, non solo uno sponsor.”

Una visione comune

Il nostro team attribuisce il merito di aver agevolato la partecipazione degli artisti all’evoluzione di Taylor in due settori: la progettazione delle chitarre e la responsabilità ambientale.

Come illustrato nelle rubriche sulla sostenibilità di Scott Paul in questo e nei precedenti numeri di Wood&Steel, Taylor ha investito parecchio per creare una catena di approvvigionamento più responsabile dal punto di vista ambientale per le nostre chitarre qui in California e in tutto il mondo. Abbiamo adottato queste misure perché crediamo sia giusto, e i nostri artisti condividono questo valore.

I musicisti di ogni genere affermano sempre più spesso di essere attirati dall’impegno in campo ambientale di Taylor. Alcuni sono addirittura appassionati di questo tema quanto noi. Ad esempio, la cantautrice britannica Beatie Wolfe partecipa regolarmente agli eventi sulla sostenibilità di Taylor. Altri, soprattutto gli artisti emergenti della Gen Z, sono felici di abbracciare queste iniziative e di sapere che Taylor sia pioniera di un’industria musicale più responsabile dal punto di vista ambientale.

Lo stesso spirito di inventiva alla base della filosofia di Taylor caratterizza anche il nostro approccio al reparto RA. Molti artisti, però, hanno dei pregiudizi nei confronti delle chitarre Taylor. Ecco perché, soprattutto dopo l’arrivo del maestro liutaio Andy Powers nel 2011, abbiamo diversificato la nostra linea di acustiche per renderla poliedrica come il nostro albo di artisti, e far sì che ci sia un prodotto adatto a ogni tipo di musicista. In questo modo possiamo rassicurare gli artisti che credono che una Taylor non faccia per loro.

“Non saprei dire quante volte mi è capitato di parlare con chitarristi che pensavano che non esistesse una Taylor adatta a loro”, afferma Godwin. “Dico sempre che se non ti convince nessun modello ora, di sicuro troverai qualcosa l’anno prossimo. Glen Phillips [dei Toad the Wet Sprocket], per esempio, non è un fan di Taylor, non ha mai apprezzato le nostre chitarre. Poi, però, gli è capitato di provare una Grand Pacific Builder’s Edition con un amico, e mi ha subito chiamato per chiederne una sua.”

La nostra storia è in costante evoluzione e miriamo sempre a soddisfare le nuove esigenze degli artisti e a raggiungere nuovi talenti. La dreadnought Grand Pacific, progettata per ottenere un timbro misto che richiami le chitarre vintage e le registrazioni acustiche, ha suscitato grande stupore al suo arrivo a Nashville. Altre novità, come la coppia di nuove chitarre in koa che verranno introdotte nella Serie 700 quest’estate (descritte in un’altra sezione di questo numero), vantano un’estetica grezza e naturale che offre ai tradizionalisti ancora più possibilità di apprezzare la linea Taylor. Abbiamo progettato chitarre con una scala più ridotta, come la GT e la GS Mini, per raggiungere i musicisti che preferiscono un’esperienza compatta. E persino gli interni vengono costruiti in base alle esigenze del chitarrista: la nostra catenatura Classe V è stata un successo per i professionisti della registrazione e ha contribuito a portare ancora più chitarre Taylor negli studi di tutto il mondo.

Il nostro team di sviluppo delle chitarre ha sempre avuto un solo obiettivo: offrire una migliore esperienza ai musicisti. Ed è proprio questo il segreto dei rapporti con gli artisti: mostrare loro quanto le nostre chitarre possano essere utili per poi proporci di sostenerli in modo efficace.

  • 2022 Edizione 2 /
  • Showcase Custom Gallery: Design esclusivi per il NAMM

Showcase Custom Gallery: Design esclusivi per il NAMM

Scorri verso il basso

Con il ritorno del NAMM Show dopo due anni, eravamo entusiasti di poter costruire delle nuove chitarre eccezionali da offrire ai clienti dei rivenditori in visita. Ecco un’anteprima di alcune delle nostre preferite.

Ogni anno, in occasione del NAMM Show ad Anaheim, in California, il team delle vendite della Taylor ospita un evento che mette in mostra una serie di bellissime chitarre attraverso il nostro programma di personalizzazione. Per noi è un’opportunità per incontrare i rappresentanti di alcuni dei negozi di chitarre più famosi del mondo, che possono vedere, suonare e ordinare alcune di queste fenomenali creazioni personalizzate, alcune disponibili in quantità molto limitate, da offrire ai clienti nei loro negozi. Il programma custom della Taylor dà vita ad alcuni dei nostri progetti più inventivi e intricati dettagli visivi, e spesso troverete nuove combinazioni di legni impreziosite da dettagli che non troverete nella linea Taylor standard. Date un’occhiata ad alcune delle nostre chitarre preferite delle custom per il NAMM di quest’anno qui sotto. Se una vi colpisce, contattateci e vi aiuteremo a trovarla.

Custom Grand Orchestra (#15)

Fondo/fasce: acero a foglia larga
Top: abete Sitka
Caratteristiche: binding in finto avorio venato con filetto decorativo del top tipo zipper, rosetta in finto avorio/nera tipo zipper, intarsi Mission striato in finto avorio/madreperla, meccaniche Gotoh 510, piroli del ponticello in osso.

Custom Grand Orchestra (#14)

Fondo/fasce: koa hawaiano di grado AA
Top: koa hawaiano di grado AA
Caratteristiche: rosetta Roman Leaf in koa/bosso posata a mano, intarsi Ocean Vine in koa/bosso, meccaniche Gotoh 510, piroli del ponticello in osso con fermacorde in awabi (abalone).

Custom Grand Auditorium (#13)

Fondo/fasce: sassafrasso blackheart
Top: abete Adirondack
Caratteristiche: binding in sapelli, rosetta Art Deco in bosso/sapelli, intarsi Euro Deco in bosso/sapelli, meccaniche Gotoh 510, piroli del ponticello in osso con fermacorde con opali australiani iridescenti.

Custom 12-fret Grand Concert (#9)

Fondo/fasce: acero figurato a foglia larga
Top: abete Sitka
Caratteristiche: binding in finto guscio di tartaruga, rosetta in finto avorio/finto guscio di tartaruga, fondo/fasce/manico Vintage Sunburst con top nero, corpo/manico con rifinitura lucida, meccaniche Gotoh 510, piroli del ponticello in osso.

Storie Correlate

Volume 103 . 2022 Edizione 2

Le recensioni delle chitarre

Le impressioni dei critici sulle nuove American Dream Flametop, AD22e e sugli ultimi modelli GT, insieme a un elenco di Taylor che sono riuscite ad aggiudicarsi il titolo di “migliori chitarre”.

Leggi la storia

Volume 103 . 2022 Edizione 2

I molti colori del koa: la nuovissima serie 700 in koa

La stupenda gradazione del koa delle Hawaii, la rifinitura opaca ultrasottile e la sonorizzazione vivace rivelano un look, una sensazione e un sound tutti nuovi

Leggi la storia

Volume 103 . 2022 Edizione 2

Sonorità: Taylor punta all’oro

GS Mini alle Olimpiadi, Billie Eilish e FINNEAS in tour, Steve Poltz, New Rules, la playlist Wood&Steel e tanto altro.

Leggi la storia

  • 2022 Edizione 2 /
  • Postura, inversioni di accordi di settima e voice leading
Lessons

Postura, inversioni di accordi di settima e voice leading

Scorri verso il basso

In queste video lezioni Nick Veinoglou condivide ulteriori consigli per aiutarvi a migliorare il livello.

Bentornati alla nostra serie regolare di video lezioni prodotte e tenute dagli artisti Taylor, musicisti professionisti e insegnanti di musica.

Nick Veinoglou è tornato per fare luce su alcuni argomenti chiave per i chitarristi acustici che vi aiuteranno a migliorare le vostre abilità e ad aggiungere nuovi suoni e tecniche al vostro kit. L’esperienza di Nick come chitarrista turnista e musicista in tournée, così come il tempo passato come direttore musicale e produttore, lo rendono uno dei partner più perspicaci di Taylor. Registra musica originale con il proprio nome e con i nomi d’arte Donut Boy e Lo Light. Con tre album all’attivo, Veinoglou ha suonato al fianco di artisti come Justin Timberlake, Camila Cabello, Shawn Mendez e Dua Lipa, e ha fatto numerose apparizioni con Joshua Bassett, Fletcher, Dove Cameron, Jordan Fisher e altri musicisti di ogni genere.

Per iniziare, Nick spiega un concetto apparentemente semplice, che però può avere un forte impatto sul vostro modo di suonare: la postura. Guardate qui sotto come Nick mostra il modo migliore di tenere la chitarra per ridurre inutili sforzi fisici e ottenere il massimo quando suonate.

In seguito, Nick approfondisce gli accordi di settima e la loro composizione, spiegando il concetto di inversione degli accordi per aiutarvi a scoprire una gamma più ampia di suoni e a diversificare il vostro vocabolario di accordi.

Infine, Nick entra nel vivo di un argomento impegnativo per qualsiasi chitarrista: il voice leading, l’arte di fondere diverse linee melodiche (come una melodia di chitarra cantata) per creare un unico suono armonico.

Seguite Nick su Instagram per ulteriori lezioni, aggiornamenti del tour, video di esibizioni e molto altro.

Storie Correlate

Volume 103 . 2022 Edizione 2

Le recensioni delle chitarre

Le impressioni dei critici sulle nuove American Dream Flametop, AD22e e sugli ultimi modelli GT, insieme a un elenco di Taylor che sono riuscite ad aggiudicarsi il titolo di “migliori chitarre”.

Leggi la storia

Volume 102 . 2022 Edizione 1

Lezioni di chitarra: chitarra acustica R&B, parte 2

L’educatore musicale e musicista professionista Kerry “2 Smooth” Marshall condivide tre nuove videolezioni per aiutarti a mettere più animo nel tuo sound.

Leggi la storia

Volume 98 . 2020 Edizione 3

Suono, sensazione e concentrazione: 3 modi per migliorare la performance

Il direttore musicale, autore di canzoni e chitarrista Nicholas Veinoglou inizia una nuova serie di video lezioni con tre consigli fondamentali.

Leggi la storia

Le recensioni delle chitarre

Scorri verso il basso

Le impressioni dei critici sulle nuove American Dream Flametop, AD22e e sugli ultimi modelli GT, insieme a un elenco di Taylor che sono riuscite ad aggiudicarsi il titolo di “migliori chitarre”.

Dopo il loro lancio all’inizio di quest’anno, i nuovi modelli Taylor sono stati recensiti dai musicisti più esigenti. I riflettori erano tutti puntati sull’AD27e Flametop completamente in acero, la nostra nuova chitarra di punta per il 2022, senza dubbio il modello più di spicco tra le novità. Ecco alcuni dei commenti salienti su questo strumento e sulle altre nuove linee.


AD27e Flametop

Quasi tutti i critici hanno affermato subito che la Flametop era la chitarra “con il suono meno da Taylor di sempre”, un elemento evidente anche visivamente per il top in acero, un materiale inusuale per una tavola armonica acustica.

“Taylor continua ad ampliare i suoi orizzonti con la serie American Dream, emblema di questo slancio innovativo”, afferma Eric Dahl di American Songwriter. “L’AD27e non ha le tipiche frequenze basse che ti aspetti da una Taylor. I timbri sono più tenui e morbidi e si prestano perfettamente a cantanti e cantautori alla ricerca di un suono unico.”

Dahl ha scelto delle corde D’Addario Nickel Bronze per dare voce alla chitarra e conferirle un suono più delicato e caldo.

“Quando la chitarra da recensire non era amplificata, ho notato delle tonalità più rustiche mentre la suonavo, e non mi sono dispiaciute affatto”, afferma. “Una volta collegata all’amplificatore, l’elettronica dell’ES2 consente di regolare il suono in base alle proprie preferenze personali, ma l’AD27e dà il meglio quando è un po’ più grezza e vigorosa.”

Da Guitar World, Chris Gill ha anche sottolineato la sonorità delle corde, descrivendo il timbro complessivo come “una potente voce mascolina con una risposta straordinariamente dinamica”.

“Il suo timbro è davvero unico, grazie anche alle corde in nichel bronzo, che esaltano le trame più morbide e delicate se suonate con un tocco leggero, e rendono il sound complessivo più brillante, energetico e audace se toccate con forza”, spiega. “Questa chitarra copre una gamma impressionante di timbri anche solo con la dinamica di esecuzione, ma conserva tonalità rotonde e lignee costanti, anche quando viene amplificata tramite l’Expression System 2.”

David Mead (Chitarrista/Guitar World) ha riconosciuto l’invitante facilità d’uso di questo strumento e l’uniformità di risposta sull’intera gamma di frequenze della tastiera mentre lui e i suoi colleghi collaudavano la chitarra.

“Il suono è piacevolmente secco”, scrive. “Il sound legnoso e rustico ci ha spinto subito a cimentarci in tutti i nostri fraseggi di acoustic blues e le nostre progressioni di accordi cantautorali preferiti.”

Charley Saufley di Premier Guitar ha apprezzato l’impegno di Taylor per il design all’avanguardia di questa chitarra, che secondo lui: “Dimostra che nelle linee delle acustiche c’è ancora spazio per alterazioni fantasiose rispetto alla norma”.

“Anche se nell’AD27e non troviamo la risonanza martellante dei bassi da pianoforte tipica di una D-28, questo modello proietta il volume come una dreadnought e riesce a essere sonora senza risultare sfacciata o eccessiva: probabilmente perché le basse meno pronunciate non oscurano le medie e le alte chiare e squillanti”, afferma. “Al contrario di molte dreadnought, l’AD27e risponde in maniera dinamica a un tocco delicato.”

Saufley ha inoltre aggiunto che la Flametop potrebbe diventare una “superstar della registrazione”.

“Ha un suono dolce che non sovrasta gli altri e fornisce un bel contrappunto negli arrangiamenti e nei mix in cui la frequenza bassa è occupata da altri strumenti, un aspetto non trascurabile negli stili di mixaggio moderni, spesso carichi di effetti”, afferma. “E anche se la sua voce è focalizzata, l’AD27e può comunque avere una grande risonanza, per non parlare della qualità del suo timbro. Chiunque ami le flattop dovrebbe provare l’AD27e per sentire come si distingue dalle altre.”

Jimmy Leslie di Guitar Player condivide pienamente l’idea del maestro liutaio di Taylor, Andy Powers, che con questa chitarra voleva creare una linea “anomala” rispetto alle altre dell’azienda, definendo il suo timbro “caloroso e rustico” e paragonandola scherzosamente a “una sorta di premio del banco dei pegni”.

“La Flametop fa un altro grande passo fuori dalla comfort zone di Taylor e si avventura in un luogo decisamente funky, con uno stile da strimpellata in veranda”, scrive. “[…La chitarra] implora di essere suonata aggressivamente con un plettro spesso, da cowboy. È una chitarra senza fronzoli e dall’effetto vissuto, caratteristiche che conferiscono autenticità al blues.”

Leslie conclude con un aneddoto: ha dato la chitarra a un proprietario di uno studio di registrazione che di solito evita le Taylor perché le trova troppo brillanti.

“Dopo una sola strimpellata di Flametop ha esclamato: ‘È la mia Taylor preferita di sempre!’.”


AD22e

Un altro modello American Dream della nostra collezione “Novità 2022”, la Grand Concert AD22e, con fondo e fasce in sapelli massello e top in acero massello, ha ottenuto il massimo dei voti da Chris Gill di Guitar World. Gill ha valutato la chitarra nell’ambito di una doppia recensione con la nostra Flametop, e ha assegnato a entrambe il riconoscimento massimo per le prestazioni. Entrambi i modelli, spiega, sono arrivati con un setup “perfetto” e una suonabilità targata Taylor.

“I manici sono snelli e danno una sensazione di rapidità, elementi tipici di Taylor. Inoltre, i bordi smussati del corpo sono davvero comodi”, scrive il recensore.

Con l’AD22e, Gill ha messo in evidenza le virtù uniche del corpo più piccolo.

“L’AD22e è un pezzo irresistibile sia per chi ama il fingerstyle, sia per chi è specializzato nello stile folk, celtico, blues o addirittura jazz”, afferma. “Allo stesso modo dell’AD27e Flametop, anche questo modello offre un timbro incredibilmente ricco e ligneo, anche se la sua gamma complessiva è più incentrata sulle frequenze medie, con un minore rimbombo delle basse, e alte leggermente più frizzanti. In ogni caso, il suono va ben oltre quello che ci si aspetterebbe dalle dimensioni del suo corpo, il che la rende ideale per i musicisti che preferiscono il comfort di un corpo più piccolo senza sacrificare troppo la gamma.”


Tre GT: GT 611e LTD, GTe Mahogany, GTe Blacktop

Teja Gerken di Peghead Nation conosce a fondo ogni aspetto dei progetti della storia di Taylor (ad esempio ha scritto “The Taylor Guitar Book: 40 Years of Great American Flattops”), e i suoi articoli e video di recensioni sono sempre molto interessanti. Negli ultimi mesi, Gerken ha provato tre modelli con il nostro nuovo stile di corpo, il Grand Theater, e ha dunque unito le recensioni della GT 611e LTD, GTe Mahogany e GTe Blacktop.

Partendo dalla GT 611e LTD in acero/abete, Gerken sottolinea il fascino del design GT.

“Caratterizzati da dimensioni compatte e da una suonabilità praticamente imbattibile, ma con un timbro incredibilmente pieno, questi strumenti hanno trovato il favore di chi cercava qualcosa di simile a una moderna chitarra da salotto”, scrive.

Come gli altri modelli GT testati da Gerken, la 611 gli è sembrata particolarmente accattivante.

“Le diteggiature difficili diventano fattibili, la minore tensione delle corde agevola i movimenti e, naturalmente, le dimensioni compatte sono un vantaggio per il comfort in generale”, afferma.

Quanto alla personalità tonale della chitarra: “Avendo suonato altre GT, mi aspettavo il timbro ricco e pieno della GT 611e LTD, ma sono stato felice di constatare che anche l’esecuzione era quella che speravo per uno strumento in acero. La chitarra ha una chiarezza incredibile, con una qualità percussiva notevole quando la si suona e una risposta controllata ma piena sui bassi”.

Gerken ha apprezzato molto anche la voce amplificata della chitarra.

“Come per altre GT, collegando il pickup ES di serie della chitarra a un amplificatore Fishman Loudbox, sparisce ogni residua illusione che si tratti di una chitarra ridotta da un punto di vista sonoro. In un contesto amplificato, la GT 611e LTD è potente quanto qualsiasi Taylor equipaggiata con ES, il che la rende una scelta fantastica per chi cerca una chitarra da palco compatta.”

A marzo ha provato la GTe Mahogany, interamente in mogano, e l’ha definita “una chitarra incredibilmente divertente da suonare!”.

Del suo carattere tonale unico dice: “…Il risultato è un suono ricco e caldo che ha quella natura leggermente compressa tipica delle tavole in legno massello. Ha inoltre una voce perfetta per gli accordi e un equilibrio notevole per il fingerstyle”.

Come per la 611, Gerken ha apprezzato molto il suo suono amplificato. E ancora una volta ha elogiato le sue dimensioni compatte che la rendono comoda da suonare.

“È un’opzione fantastica per i musicisti più minuti che hanno difficoltà con i modelli più grandi”, scrive. “Ma è anche una chitarra perfetta da tenere sempre a portata di mano per quando ti viene l’ispirazione. E i chitarristi principianti ed emergenti noteranno sicuramente che la sua comodità facilita l’apprendimento di nuove tecniche.”

L’ultima chitarra provata è stata la GTe Blacktop, che abbina fondo e fasce in noce massello a un top in abete massello. Gerken ha apprezzato l’uso del noce.

“Taylor ha usato spesso questo legno in passato ed è bello che questa tradizione sia stata riproposta”, afferma. “Talvolta descritto come dotato di qualità timbriche che si collocano tra quelle del mogano e del palissandro, questo legno fa sì che la GTe Blacktop offra una voce originale oltre a sfoggiare un aspetto unico… Il top in abete concorre a donare alla chitarra un’ampia gamma dinamica, mentre il fondo e le fasce in noce sembrano contribuire a un suono complessivo equilibrato che non favorisce alcuno stile di esecuzione particolare.”


I modelli Taylor migliori del 2022

Di recente, Guitar World ha pubblicato una serie di guide all’acquisto per il 2022, divise in diverse categorie di acustiche (elettroacustiche, fascia alta, classica/nylon di fascia alta, tre quarti), proponendo i migliori modelli della serie per ciascuna sezione. Taylor era ampiamente rappresentata all’interno di queste guide. Ecco una carrellata di chitarre Taylor che si sono aggiudicate un posto tra le migliori…

Migliori acustiche di fascia alta: il nostro fiore all’occhiello, la Grand Auditorium 814ce in palissandro/abete, si è aggiudicata il primo posto della classifica delle “chitarre da isola deserta”. Tra le sue caratteristiche vincenti, la comodità di esecuzione e la versatilità musicale: “In parte sicuramente grazie alla catenatura V-Class di Taylor, questo modello vanta una voce spesso profonda e potente abbastanza da gestire un forte flatpicking e uno strumming aggressivo”, scrive Simon Fellows. “Allo stesso tempo, però, è dolce, equilibrata, e con una gamma media ben definita che la rende l’ideale per un fingerstyle più delicato.”

Le migliori classiche di fascia alta con corde in nylon: la versione della 814ce con corde in nylon, la 814ce-N, ha ottenuto un’ottima valutazione come “chitarra crossover perfetta” per gli amanti delle corde d’acciaio che desiderano esplorare la gamma sonora che offre il nylon. Come la sua controparte con corde d’acciaio, la 814ce-N è stata elogiata per i materiali di prim’ordine e la lavorazione impeccabile, oltre che per il carattere timbrico “caratteristico ma superbamente equilibrato” dato dalla combinazione dei legni di palissandro e abete.

“Se sei un fan di Taylor e cerchi una chitarra con corde in nylon su cui suonare jazz, bossa nova o country, questo modello è un must”, afferma Simon Fellows.

Le migliori chitarre elettroacustiche: i musicisti con un budget limitato potrebbero orientarsi verso i due modelli Taylor presenti in questa lista: l’AD17e Blacktop, una delle chitarre in legno massello di produzione statunitense dal prezzo più accessibile, e l’Academy 12e.

Con il modello Blacktop, la nostra catenatura V-Class ha conquistato i recensori di Guitar World: “L’intonazione e la risonanza straordinarie della tastiera ti spingono a suonarla fino all’ultimo tasto”, afferma Rob Laing. “Questa dreadnought Grand Pacific a spalla tonda è una chitarra di livello professionale per tutta la vita: offre un equilibrio tonale e un’ampia risposta di frequenza che la rendono un magnifico esempio di dreadnought.”

Laing ha anche apprezzato “lo stile da Johnny Cash ed Everly Brothers” del top in abete nero opaco.

Nel frattempo, la compatta Grand Concert Academy 12e si è guadagnata il favore dei critici come chitarra ideale per accelerare i progressi di un principiante o di un musicista emergente, grazie al suo manico dal profilo sottile, alla scala ridotta, all’action basso e al poggiabraccio: “Crediamo che sia l’opzione migliore per suonabilità, comodità e performance, insomma, uno strumento affidabile per ogni chitarrista”.

Le migliori chitarre acustiche tre quarti: non ci sorprende che sia la GS Mini che la Baby Taylor si siano aggiudicate una voce in questa lista. Da chitarra 3/4 per eccellenza, la Baby (BT1) con top in abete è risultata la scelta migliore in assoluto.

“Una vera chitarra Taylor degna di questo nome”, afferma Matt McCracken di Guitar World. “Delle basse compatte, con medie chiare e alte nitide si abbinano a una grande proiezione, dando vita a una delle migliori chitarre acustiche da ¾ sul mercato.”

Per quanto riguarda la GS Mini, McCracken ha definito l’amatissima serie un “classico moderno” e ha scelto il modello GS Mini Rosewood (fondo/fasce in palissandro rigato, top in abete massello), evidenziandone la “suonabilità”, il “sound brillante e articolato” e le “alte setose”.

Storie Correlate

Volume 103 . 2022 Edizione 2

I molti colori del koa: la nuovissima serie 700 in koa

La stupenda gradazione del koa delle Hawaii, la rifinitura opaca ultrasottile e la sonorizzazione vivace rivelano un look, una sensazione e un sound tutti nuovi

Leggi la storia

Volume 103 . 2022 Edizione 2

Coltivare il futuro del koa

Insieme a Pacific Rim Tonewoods e ad altri importanti partner alle Hawaii, ci stiamo impegnando a sviluppare modelli di successo per la riforestazione del koa e la produzione di legno per strumenti musicali per le generazioni future.

Leggi la storia

Volume 103 . 2022 Edizione 2

Un sistema di sostegno costante

Come il nostro team che cura i rapporti con gli artisti si è evoluto per soddisfare le esigenze in continua evoluzione dei musicisti

Leggi la storia

Astisti Taylor
dal vivo
all’Americanafest

Scorri verso il basso

Una raccolta di esclusive performance Taylor registrate all’AmericanaFest di Nashville, con Brittney Spencer.

Sebbene nel 2020 l’Americanafest, il festival annuale di Nashville che celebra la musica country, si sia dovuto svolgere virtualmente, nel 2021 il festival è tornato con il botto, grazie a una serie di esibizioni che hanno dato risalto ai migliori e più brillanti talenti emergenti del genere. Lo scorso settembre il nostro team si è recato a Nashville per catturare alcuni nuovi iniziati della famiglia di artisti Taylor, tra cui Brittany Spencer, Raye Zaragoza, Brock Gonyea e Allison Russell. Siamo entusiasti di condividere con voi alcuni filmati di quelle memorabili esibizioni nell’edizione digitale di Wood&Steel.



Storie Correlate

Volume 102 . 2022 Edizione 1

Novità 2022

Una fiammante Grand Pacific Flametop guida la serie di nuovi modelli Taylor, accrescendo la famiglia GT

Leggi la storia

Volume 102 . 2022 Edizione 1

Lezioni di chitarra: chitarra acustica R&B, parte 2

L’educatore musicale e musicista professionista Kerry “2 Smooth” Marshall condivide tre nuove videolezioni per aiutarti a mettere più animo nel tuo sound.

Leggi la storia

Volume 102 . 2022 Edizione 1

Vincitori del Latin GRAMMY e tanto altro nella playlist Wood&Steel

Questa compilation è tutta dedicata ai brani degli artisti nominati al Latin GRAMMY e di altri artisti Taylor.

Leggi la storia

  • 2022 Edizione 1 /
  • Vincitori del Latin GRAMMY e tanto altro nella playlist Wood&Steel

Vincitori del Latin GRAMMY e tanto altro nella playlist Wood&Steel

Scorri verso il basso

Questa compilation è tutta dedicata ai brani degli artisti nominati al Latin GRAMMY e di altri artisti Taylor.

La crescente famiglia di musicisti e artisti Taylor di ogni genere ha concluso alla grande il 2021, facendo incetta di premi e plausi della critica. Tra questi, gli artisti Taylor hanno riscosso grande successo ai Latin GRAMMY di quest’anno, con ben dieci nomination. In cima a tutti c’è il chitarrista e cantautore Camilo con quattro premi, tra cui Miglior album pop vocale per il suo album Mis Manos e Miglior canzone pop per Vida de Rico.

In questa edizione della playlist Wood&Steel, siamo entusiasti di mostrare alcuni dei nostri artisti nominati ai Latin GRAMMY. Tra loro troviamo anche un brano di Allison Russell, a cui la rivista The Atlantic ha assegnato il terzo posto per l’album Outer Child. Inoltre, troviamo tracce di Brittney Spencer, Raye Zaragoza, The Native Howl, Cat Burns e tanti altri.

Salva la playlist tra i tuoi preferiti nel tuo account di Spotify e segui Taylor Guitars per altre novità della nostra rosa di artisti provenienti da ogni angolo del pianeta.

Storie Correlate

Volume 102 . 2022 Edizione 1

Novità 2022

Una fiammante Grand Pacific Flametop guida la serie di nuovi modelli Taylor, accrescendo la famiglia GT

Leggi la storia

Volume 102 . 2022 Edizione 1

Lezioni di chitarra: chitarra acustica R&B, parte 2

L’educatore musicale e musicista professionista Kerry “2 Smooth” Marshall condivide tre nuove videolezioni per aiutarti a mettere più animo nel tuo sound.

Leggi la storia

Volume 102 . 2022 Edizione 1

Astisti Taylor dal vivo all’Americanafest

Una raccolta di esclusive performance Taylor registrate all’AmericanaFest di Nashville, con Brittney Spencer.

Leggi la storia

Lezioni di chitarra: chitarra acustica R&B, parte 2

Scorri verso il basso

L’educatore musicale e musicista professionista Kerry “2 Smooth” Marshall condivide tre nuove videolezioni per aiutarti a mettere più animo nel tuo sound.

Di Kerry "2 Smooth" Marshall

La chitarra acustica vanta una grande versatilità in numerosi stili musicali, e non c’è niente di meglio che esplorare nuovi territori musicali per perfezionare le proprie abilità.

Molti non considerano la chitarra acustica come strumento R&B, ma musicisti come Kerry “2 Smooth” Marshall stanno innovando il panorama musicale usando suoni acustici in nuovi generi. Col tempo, Kerry ha raccolto un gran seguito come educatore musicale, turnista e produttore, e oggi mostra al mondo come la chitarra acustica riesca a rendere brillanti e sorprendenti generi come R&B, gospel e neo-soul.

In questa serie di videolezioni, Kerry approfondisce le lezioni dello scorso numero della rivista, in cui parlava dei giri di accordi alla base dell’R&B, della tecnica “double-stop” e degli accordi di settima diminuita con cui esprimere la quintessenza del gusto R&B.

Per prima cosa, Kerry spiega l’importanza degli accordi con barré nella chitarra acustica R&B, mostrando come due semplicissime geometrie riescano ad aprire una gamma tutta nuova di sonorità.

Nella seconda lezione, Kerry illustra i vari impieghi dell’hammer-on, una tecnica molto usata da poter adattare nell’R&B per aggiungere varietà e stile.

Nel terzo e ultimo video, Kerry mostra una manciata di lick R&B in scala di Re dal sapore blues e soul da aggiungere al tuo vocabolario per dare un po’ di pepe al tuo stile.

Scopri di più su Kerry “2 Smooth” Marshall sul suo canale YouTube.

Storie Correlate

Volume 99 . 2021 Edizione 1

Gli esercizi migliori

Negli ultimi mesi in cui più persone hanno imbracciato una chitarra, sapere come esercitarsi è importante tanto quanto trovare il tempo per divertirsi.

Leggi la storia

Volume 3 . 2021 Edizione 3

Progressione di accordi R&B per chitarra acustica

Amplia il tuo repertorio stilistico con queste utili progressioni di accordi molto usate tra i chitarristi R&B.

Leggi la storia

Volume 102 . 2022 Edizione 1

Una chiacchierata sul suono: L’intervista Wood&Steel con Andy Powers

Durante una conversazione approfondita il maestro liutaio della Taylor Andy Powers riflette sull’evoluzione del design delle chitarre Taylor e sui molti fattori che contribuiscono alla personalità sonora di uno strumento, musicista compreso.

Leggi la storia

  • 2022 Edizione 1 /
  • Una chiacchierata sul suono: L’intervista Wood&Steel con Andy Powers

Una chiacchierata sul suono: L’intervista Wood&Steel con Andy Powers

Scorri verso il basso

Durante una conversazione approfondita il maestro liutaio della Taylor Andy Powers riflette sull’evoluzione del design delle chitarre Taylor e sui molti fattori che contribuiscono alla personalità sonora di uno strumento, musicista compreso.

Andy Powers e io ci siamo avvicinati a un grande e bellissimo tavolo da lavoro al centro del suo laboratorio rinnovato di recente nel campus della Taylor per parlare del realizzare chitarre in questa azienda. Questo spazio è l’ambiente ideale che ispirerebbe chiunque ami il legno e lavorarci: pulitissimo, spazioso, ricco di luce naturale proveniente dalle finestre che arrivano fino al pavimento su un lato. Il laboratorio è arredato con un mix di bei tavoli da lavoro e armadietti costruiti su misura, tutti realizzati con avanzi di sapelli, blackwood, ebano e altri legni che non potrebbero essere usati per le parti di una chitarra, compreso il pavimento a scacchiera in ebano e sapelli. L’atmosfera è raffinata-rustica, calda, senza pretese e altamente funzionale.

Fondamentalmente, ciò che sentiamo in una chitarra acustica è un insieme di tutti questi elementi.

Ogni componente nella stanza è disposto con cura, dalle rastrelliere a muro che cullano set selezionati di legno per chitarra per i prototipi futuri a un’unità di legno con telaio ad A che ospita una serie di morsetti, levigatrici e altre macchine essenziali, compresa un’affidabile sega a nastro Davis & Wells costruita prima della Seconda guerra mondiale e che Andy adora.

“Bill Collings mi ha fatto conoscere queste macchine”, dice esponendo con orgoglio la storia e le virtù delle prestazioni superiori della macchina. “Ho la fortuna di averne una anche nel mio laboratorio.”

Come artigiano, Andy afferma di aver sempre apprezzato gli ambienti che le persone creano per vivere e lavorare.

“Mio padre è un falegname da tutta la vita, anche se la cosa più vicina all’attività di famiglia che faccio è lavorare alla mia casa”, dice. “Poiché mi porto dietro questo background, credo sia interessante vedere gli spazi che le persone creano per se stesse: raccontano qualcosa sul modo in cui le vivono, in cui vedono le cose e in cui vogliono viverle.”

Ad Andy non è sfuggito che negli ultimi due anni, sulla scia della pandemia, così tanti di noi sono stati costretti a cambiare radicalmente il modo di vivere e lavorare. Se c’è un aspetto positivo in questa resa dei conti collettiva, potrebbe essere il modo in cui ci ha fatto riconsiderare le priorità nella nostra vita, forse avere una nuova prospettiva e cercare di riavviare le nostre vite in modi più significativi.

Alcuni hanno deciso di imparare a suonare la chitarra, altri hanno ricominciato dopo una lunga interruzione. Andy ha colto l’occasione non solo per riprogettare il suo spazio di lavoro, ma per riflettere sul suo rapporto con la liuteria.

Non suoniamo tutti allo stesso modo, non ascoltiamo tutti allo stesso modo e non voglio costruire tutte le nostre chitarre esattamente allo stesso modo.

“Adesso costruire chitarre mi emoziona più che mai”, dice. “Lo faccio da molto tempo e lo adoro ancora. Proprio come in una relazione duratura, con il tempo arrivano i cambiamenti e si cresce. Credo che sia importante fare un passo indietro, osservare lo strumento e pensare: ‘E ora come lo approccio? Come si è sviluppata questa relazione?’. Anche i componenti meritano di essere considerati: lavoriamo con migliaia di pezzi di mogano, acero o abete, ma è bene fermarsi e pensare. Di solito facciamo una cosa, ma se ne facessimo un’altra? Credo ci sia ancora molto da scoprire sul legno e gli strumenti che ci costruiamo.

Oltre a condividere con il padre l’amore per la lavorazione del legno, sembra che l’innovazione sia un altro tratto distintivo nel sangue di Andy. Fa un gesto verso una parete ornata di riproduzioni incorniciate di disegni di brevetti fatti a mano di invenzioni del suo bis-bisnonno, Arthur Taylor (sì, il suo cognome era Taylor) dei primi anni del 1900. Vanno da un accendino per motori a combustione interna a una testa di martello con un dispositivo per piantare i chiodi incorporato nell’estremità del granchio, che permetterebbe di piantare un chiodo con una sola mano.

“È divertente guardare questi disegni e pensare a come stava osservando qualcosa di così familiare come un martello in un modo nuovo per poterlo migliorare”, dice.

—–

Dato che questa è l’edizione della guida alle chitarre, abbiamo pensato che il modo migliore per preparare il palcoscenico fosse fare un passo indietro con Andy per parlare delle sue attività di progettazione alla Taylor, di come si è evoluta la nostra linea di chitarre e cosa pensa del futuro. Una cosa è certa: grazie ai progetti di Andy, non abbiamo mai avuto un assortimento più vario di personalità chitarristiche rappresentate nella nostra linea di chitarre.

Lavori alla Taylor da 11 anni ormai. Guardandoti indietro, senti di essere arrivato con una particolare missione creativa o un mandato concordato tra te e Bob?

Non abbiamo iniziato con un mandato o un ordine di marcia dal punto di vista del design, se non quello di dire che volevamo che le chitarre fossero più musicali. Crediamo che sia un percorso nobile, per così dire. Il nostro lavoro come costruttori di chitarre è servire il musicista. Mi piace quando gli strumenti sono da collezione, quando la gente apprezza lo strumento per la sua bellezza, ma il nostro scopo si estende a un chitarrista che fa musica. A prima vista, suonare musica è una cosa molto poco pratica, eppure penso che sia assolutamente essenziale, in quanto per le persone è un modo di dare un senso al mondo e di esprimersi. Come estensione di questo, voglio che ognuna delle nostre chitarre serva uno scopo musicale.

E questi scopi potrebbero variare da chitarra a chitarra.

Ogni chitarra dovrebbe servire uno scopo unico. Non possono e non devono suonare esattamente nello stesso modo. Quando esamino tutto il nostro catalogo e suono tutte le chitarre, una cosa che mi colpisce è che fondamentalmente ogni strumento suona musicale, come dovrebbero fare le chitarre. Oltre a questo, non le ascoltiamo tutti allo stesso modo. Alcune suonano più intime, alcune hanno un suono ampio, alcune proiettano molto lontano, altre sono molto sensibili al tocco, alcune suonano calde, scure o capricciose, mentre altre sono vibranti e allegre. Alcune sono chitarre che vorremmo ascoltare in una bella stanza tranquilla, altre con cui vorremmo camminare su un grande palco. Hanno tutte scopi e personalità diversi, ed è qui che vedo il valore nel costruire chitarre di diverso tipo. Ci sono un sacco di variabili che rendono uno strumento unicamente appropriato per una certa cosa.

Quando sei entrato alla Taylor sono sicuro che conoscevi le nostre chitarre, ma vedesti un’opportunità immediata per diversificare ulteriormente la linea?

Sì, vidi una chiara opportunità di sviluppare ulteriormente l’offerta. Se osserviamo le chitarre che realizzavamo 15 anni fa, vediamo che ci sono molte cose in comune nella costruzione. Le due grandi cose che avremmo cambiato sarebbero state il profilo e il legno del fondo e delle fasce. Molte delle parti all’interno erano identiche l’una all’altra. Alcune sarebbero state rimodellate in maniera minore per adattarsi, ma molte erano davvero simili. A me sembrava un’opportunità per espandere e produrre una più ampia offerta di suoni.

Inoltre, venivi da un background di costruzione di chitarre personalizzate, dove ogni strumento che realizzavi era fatto apposta per soddisfare i bisogni di una persona.

Sì, la mia esperienza era stata l’opposto rispetto alla produzione. Quando una persona veniva da me e mi chiedeva una chitarra io rispondevo: “Prima di decidere se deve essere una chitarra archtop, falttop, un’elettrica o qualsiasi altra cosa, come vuoi che suoni? Cosa ascolti? Che tipo di suoni ti piacciono? Quali non ti piacciono?”. Dopo aver predisposto tutto sul tavolo, iniziavamo a fare delle scelte per creare uno strumento che avrebbe portato al risultato desiderato. Immerso in questo background, la varietà musicale mi interessa ancora tanto. Mi piace la diversità tra i musicisti, negli stili musicali, in quelli di scrittura delle canzoni e di esecuzione. Penso che sia fantastico. Non suoniamo tutti allo stesso modo, non ascoltiamo tutti allo stesso modo e non voglio costruire tutte le chitarre esattamente allo stesso modo.

Dopo 11 anni, come valuteresti la nostra linea di chitarre osservandola in termini di ciò che è diventata?

Sono orgoglioso dello stato in cui ci troviamo come costruttori di chitarre. Quando guardiamo tutti i modelli che facciamo, ora più che mai è disponibile una gamma di suoni significativamente più ampia. Una gamma più ampia in fatto di estetica, funzioni musicali, tono e sensazioni, tutte basate sulle fondamenta di certe qualità che vogliamo rimangano coerenti. Queste qualità fondamentali sono quelle che Bob descriverebbe come gli elementi oggettivi che ha cercato per decenni. Io li descriverei come essenziali. La chitarra deve suonare bene. La struttura deve essere ottima, il manico deve essere dritto, affidabile e preciso, e le note devono essere intonate. La meccanica di ogni strumento deve essere fondamentalmente solida. Solo dopo aver stabilito queste cose si possono considerare i suoni che le chitarre producono. Con le attrezzature moderne, possiamo valutare la sonorità usando l’analisi dello spettro e cose del genere, ma trovo più utile valutare i suoni nel modo in cui un artista li interpreterebbe. Con una particolare chitarra, si potrebbero usare termini tecnici e dire che ha la sensibilità di una certa quantità incentrata su così tanti hertz [l’unità di misura della frequenza], ma quello che sento è che questa chitarra è sensibile al modo in cui tocco le corde; o che questa chitarra è molto emotiva, perché posso suonarla con delicatezza, con forza, con una mano solida o delicata, ed è reattiva in questo modo. Ogni progetto è un invito a suonare con una certa enfasi. Con una delle attuali chitarre Grand Orchestra è come se si prendesse un plettro spesso e ci si desse dentro: è un suono forte, audace, il triplo espresso delle chitarre. È potente. Mi piace una varietà di sfumature sonore e voglio pensare a loro in termini di come mi fanno sentire come musicista.

Da qualche anno siamo entrati nell’era dei rinforzi Classe V e parte della promessa era un nuovo motore sonoro, che avrebbe aperto una frontiera inedita per lo sviluppo in corso. Questo a sua volta ha portato al rinforzo della Classe C per le chitarre GT. Credi che la Classe V sia all’altezza delle aspettative?

Abbiamo certamente goduto delle opportunità di sviluppo che la Classe V offre. Sono stato entusiasta di poter implementare la Classe C asimmetrica sulle chitarre GT e ci sono sviluppi futuri in questo senso. Le stesse chitarre Classe V possono essere accordate in diversi modi. Anche tra i differenti modelli in cui usiamo legni simili, siamo arrivati al punto di creare diversi suoni per i rinforzi posteriori solo in base al modello. Queste diverse sfumature usciranno in base a come vengono usate. Per esempio, se guardiamo i rinforzi posteriori di una Builder’s Edition 652ce a 12 corde in acero, ha un profilo molto diverso rispetto alle nostre altre chitarre in acero: il modo in cui le punte dei rinforzi terminano, il modo in cui sono posizionati, sono diversi per adattarsi al suono di quella chitarra.

Hai anche ampliato la tavolozza sonora di Taylor con nuovi stili del corpo, come la Grand Pacific. A mano a mano che questi e altri modelli GT arrivano nelle mani dei musicisti, è come assistere a un notevole ampliamento del fascino della linea al di là del nostro fiore all’occhiello, la Grand Auditorium, che per molto tempo è stata sinonimo di quello che la gente considerava il suono tipico delle Taylor.

Sì, c’è del vero in questo. Le persone sono conosciute per la loro opera, sia che tu sia un costruttore di chitarre, un musicista o un artista di altro tipo. È molto facile abituarsi a un certo stile quando questo diventa la maggior parte di ciò che fai. È simile all’ascoltare la propria band preferita: ti abitui ai loro suoni, alle loro canzoni e al loro stile. Poi producono un nuovo disco molto diverso e puoi sentire che si tratta della stessa band, ma si sono evoluti, hanno sviluppato altre sfumature, altri suoni. Certo, come costruttori di chitarre, molte persone pensano a noi come all’azienda della Grand Auditorium. Realizziamo la quintessenza della chitarra acustica moderna, che è una GA con spalla mancante. E noi amiamo quelle chitarre, sono perfette per le tante cose che un musicista vuole fare con una chitarra acustica. Ma non è l’unica. Come azienda, abbiamo iniziato con chitarre jumbo e dreadnought, prima di creare la Grand Concert. Abbiamo creato le chitarre GS e GS Mini; più recentemente le chitarre Grand Pacific e Grand Theater. Mi piace molto come le chitarre GP e GT siano accolte dai musicisti. È bello vedere tutte queste varietà che si inseriscono in diversi contesti musicali. Mi piacciono tutte queste sfumature.

Nella nostra guida annuale sulle chitarre di Wood&Steel tendiamo a decostruire i nostri strumenti e a spiegare le caratteristiche tonali associate ai componenti chiave, come le forme del corpo e i legni. Lo scorso anno ci hai aiutato a creare delle carte del suono per i diversi legni e hai identificato quattro categorie che aiutano a creare un profilo sonoro per ogni legno [range di frequenza, profilo armonico, riflettività (del musicista/design vs. del legno) e sensibilità al tocco]. Ma la verità è che una chitarra è un sistema più complesso di componenti. Quindi, in un certo senso, un approccio più accurato sarebbe creare quella tabella per ogni modello, perché rifletterebbe in modo più ampio quegli elementi che lavorano insieme.

La realtà è che, quando si prende in mano una chitarra e si pizzica una nota, è difficile dire cosa si stia sentendo. Si sente la corda? Il plettro? L’ossicino, il ponte, il top, il retro, il manico, i rinforzi all’interno, le dimensioni, la massa d’aria all’interno? Il suono non è solo uno di questi aspetti e faccio fatica ad applicare una percentuale del suono di una chitarra proveniente da un componente rispetto a un altro. So che vogliamo decostruire le cose per capirle meglio perché le amiamo e ogni appassionato vuole comprendere meglio la sua chitarra. Penso che sia fantastico. Ma alla fine, quello che si sente è un insieme di tutti gli elementi.

Musicista compreso.

Assolutamente sì. Di recente stavo leggendo un libro di un tecnico che registrava Elton John nei primi anni ’70. All’epoca tutti volevano il suono del piano di Elton… L’ingegnere posizionò i microfoni e usò altre tecniche per cercare di replicare il suono di Elton, ma era ancora quello del pianoforte dello studio. Poi Elton arrivò per la registrazione e iniziò a suonare, e suonava proprio come lui. Non si trattava del pianoforte: era solo il suo tocco. È piuttosto notevole, perché un pianoforte ha dei collegamenti meccanici tra la corda e i polpastrelli del musicista. Ci sono un mucchio di marchingegni per far scendere il movimento di un tasto attraverso il martello ricoperto di feltro e colpire la corda, e ogni volta la colpisce esattamente nello stesso punto. Mi fa pensare al modo in cui si potrebbero toccare i tasti, che permette alle sfumature di essere sentite anche attraverso questa complessa trappola per topi di piccoli meccanismi di legno/feltro/cuoio, che alla fine colpisce una corda e cambia radicalmente il risultato. Ora pensiamo al contesto di una chitarra, dove i polpastrelli del musicista toccano direttamente le corde, e non c’è da meravigliarsi se la chitarra si sente come uno strumento così personale. Suona come la persona che l’ha imbracciata.

Mettiamo da parte le caratteristiche sonore per un momento. Hai parlato di sensazione e risposta, che sono legate al suono, ma un po’ diverse.

There are differences here beyond sonority, because we’re not talking solely about what you’re hearing, but what the guitar makes you feel. In turn, this isn’t even directly speaking to how far the strings are from the fretboard, their tension or scale length — setup qualities that are measurable. It’s about the back-and-forth communication you experience when you’re playing a certain guitar. When you pick up a guitar and there’s something about the combination of the sound that comes out of it, the feel of those strings under your fingertips, the resiliency and flexibility, the touch sensitivity — the combination of all the tactile elements and the resulting sound that comes from them — that informs how a player interacts with the guitar.

Un musicista non dovrebbe mai sentirsi sopraffatto dalle scelte: le diversità servono a divertirsi esplorando quando vuole farlo. 

Ultimamente ho suonato molti tipi di strumenti diversi e questa conversazione dinamica diventa molto evidente. Quando prendo in mano una chitarra archtop, ha una certa risposta e mi spinge in una direzione diversa nel modo di suonare. Ho notato che ho un tocco diverso su una chitarra del genere rispetto a un’altra. Quando imbraccio una GT, c’è qualcosa nell’elasticità delle corde e nella rapidità della sua risposta che mi fa fraseggiare in modo diverso perfino la stessa melodia. La fletterò in modo diverso; articolerò la corda in modo diverso. Se prendo una Grand Pacific o una Grand Orchestra, potrei suonare la stessa cosa, ma il mio tocco non sarà lo stesso: sarà cambiato in base a ciò che sento uscire dalla chitarra. Molti musicisti useranno questa interazione chitarrista/strumento a loro vantaggio e sceglieranno volontariamente uno strumento per portare il loro modo di suonare in una certa direzione. Di tanto in tanto sceglieranno anche quello che potrebbe essere uno strumento atipico rispetto a uno familiare, per forzarsi in una direzione creativa completamente diversa.

Possiamo soffermarci sulle corde per un minuto? Nei tuoi progetti di chitarre più recenti hai iniziato a diversificare un po’ di più la scelta delle corde con le D’Addario sulle chitarre American Dream. Le corde sono un elemento importante per la sensazione e il suono di una chitarra acustica, e indicano anche le preferenze di un musicista. Puoi parlare di più dell’impatto delle diverse corde sulla sensazione e sul suono?

Continuando con l’idea di uno strumento come sistema che pervade l’esecutore e la sua performance, questa relazione dinamica tra lo strumento e il musicista si interfaccia attraverso i punti di contatto di una chitarra. Faccio spesso un paragone con le tavole da surf. Ogni tavola ha intrinsecamente una cosa diversa che vuole fare, un modo in cui vuole essere cavalcata, e funzionerà meglio in certe condizioni. Oltre a questa personalità intrinseca, è possibile accordarle alterando caratteristiche più piccole, che possono aumentare la loro funzione in modi unici. Le chitarre sono così. Prima di tutto, cosa fa la chitarra stessa in modo intrinseco? La prossima cosa importante è quali corde si mettono. Se un amico mi dice che ha una nuova chitarra, la mia prima domanda è: “Quale chitarra hai preso?”, seguita rapidamente da: “Che corde ci hai messo?”. La terza domanda sarebbe: “Che plettro usi, se lo usi?”. Di solito sono in quest’ordine, perché sicuramente la chitarra è importante, ci dice con cosa si sta lavorando e si deciderà come raffinare quel suono con le corde che ci si mettono sopra. Le scelte non riguardano solo le corde rivestite o non rivestite; le scelte riguardano quale lega è usata per il filo di avvolgimento e quale gamma di tensione? Che composizione hanno le corde? Sono in bronzo fosforoso? È il bronzo al nichel come quello che stiamo usando sulla nostra nuova AD27e Flametop. Ognuna di queste variabili enfatizza un diverso spettro, un diverso tipo di risposta, un diverso tipo di suono che viene alimentato nel sistema meccanico. Riguardo al plettro, se un musicista ne usa uno, è divertente considerare quale influenza ha nell’equazione. Ci sono una miriade di variabili con cui suonare in termini di durezza del plettro, forma e struttura della superficie quando tocca le corde. Nonostante i numerosi parametri da considerare, un musicista non dovrebbe mai sentirsi sopraffatto o intimidito dalle scelte. Le diversità servono a divertirsi esplorando quando si vuole farlo.

Come costruttori, noi spesso consideriamo anche altre cose quando dobbiamo scegliere le corde, compreso il fatto che le chitarre suonano e fanno il loro dovere in una varietà di ambienti di vendita al dettaglio in tutto il mondo, giusto?

Sì, assolutamente. In un certo senso, è simile a ciò che un produttore di automobili fa quando costruisce un’auto o un camion. Vuole che funzioni bene durante il periodo di rodaggio per assicurare una lunga e sana durata di vita e buone prestazioni. Per aiutare il processo, potrebbe scegliere un certo olio per motore con additivi o pneumatici specifici. Nel nostro caso, quando costruiamo e incordiamo una chitarra non sappiamo se il primo o il decimo musicista è la persona che alla fine se la porterà a casa. Non sappiamo se sarà venduta a pochi chilometri dalla nostra fabbrica in un negozio di musica locale o se farà il giro del mondo su una nave prima di arrivare in un negozio di musica. Sapendo questo, vogliamo usare delle corde che resistano a tutte quelle circostanze potenzialmente avverse e che abbiano una bella risposta neutra per un musicista che ascolti quella chitarra. Oltre a quel periodo iniziale di rodaggio, ci sono tante opzioni buone e musicalmente interessanti. Su alcune delle mie chitarre uso corde non rivestite perché mi piace la loro struttura; mi piace la sensazione che danno. È molto familiare. Significa che devo cambiarle abbastanza spesso, se non voglio che abbiano un suono più sordo; ma anche qui, per il giusto contesto, mi piace un suono più sordo.

Per esempio, ho un vecchio basso che ho suonato in molte registrazioni e ci uso le cosiddette corde half-round. Non sono flat-wound o ribbon-wound come quelle di una chitarra jazz; non sono round-wound come quelle di una chitarra acustica o elettrica; sono una via di mezzo tra le due. Appena tolte dalla confezione, hanno un suono polveroso e un po’ sordo. Ma lo adoro su quel particolare basso: funziona perfettamente per quello strumento.

Come cambia una corda più sorda il modo in cui suoni (potrebbe riguardare la nuova AD27e Flametop) e come lo cambia a qualcuno che potrebbe suonare?

Parlando in termini di meccanica, alcune corde smorzano una percentuale degli armonici ad alta frequenza, riducendo all’orecchio il “sibilo” metallico. Un tecnico di registrazione direbbe che non ci sono così tanti sibili, attacchi transitori o presenza. L’alto contenuto armonico dà definizione a una nota, creando un bordo chiaro e udibile all’inizio e alla fine. Quando questo viene temperato il musicista sentirà un inizio e una fine più morbidi e lisci di ogni suono. È come se si sentisse più legno e meno metallo. Questo calore porterà il musicista in una direzione molto diversa nel modo in cui articola le corde.

Cosa pervade i progetti che scegli di perseguire? Sono sicuro che sei ispirato e influenzato da molte cose. Vivi una vita all’insegna della musica, hai molti amici artisti con cui suoni e sei in sintonia con quello che succede nel mondo della musica… ma come fai ad assimilare questi input con le tue idee e a tradurli in un progetto che guarda avanti?

Le decisioni dei progetti sono sfaccettate, perché parte del fare qualsiasi cosa è scoprire con quali materiali si può lavorare. È raro che un costruttore dica: “Voglio realizzare questo progetto e ora vado semplicemente a cercare il materiale perfetto con cui lavorare”. Alcune decisioni sono pragmatiche, come lavorare con i materiali che si hanno a portata di mano o una fornitura di materiale che è affidabile e soddisfacente. Nel frattempo, avrò in mente diversi suoni o applicazioni musicali che ho sentito o apprezzato. Potrei pensare a un gruppo di musicisti che hanno realizzato certi suoni e che si stanno avvicinando a una sensazione, a un’emozione o a uno stile di suonare unici, che giustificherebbe il buon uso di un materiale. Poi penserò a ciò che lo completa: la forma di chitarra giusta per questo legno e lo scopo musicale, il giusto suono, la giusta finitura e le corde giuste da metterci sopra. Diventa una ricetta a sé stante. È simile al modo in cui uno chef potrebbe trovare qualche ingrediente unico e chiedersi: “Cosa potrei farci di buono e di interessante?”.

Parlando di ingredienti disponibili, volevo parlare del nostro uso dei legni urbani e del nostro desiderio di operare in modo più responsabile ed etico. Vogliamo procurarci materiali che siano disponibili per noi, come l’Urban Ash. Sei impaziente di continuare ad avventurarti su questa strada?

L’impresa di silvicoltura urbana rimane un’avventura emozionante per noi. Quando abbiamo iniziato a lavorare con i boschi urbani è stato uno di quei progetti che abbiamo perseguito, perché sapevamo di doverlo fare, anche se all’inizio è stato sorprendentemente costoso e sembrava che non fosse del tutto fattibile. Nonostante gli ostacoli, doveva essere fatto e qualcuno doveva iniziare. Negli anni, da quando abbiamo iniziato a lavorare con questi legni, il concetto si è rivelato molto più fruttuoso di quanto mi aspettassi all’inizio in termini di qualità dei materiali che potevamo ottenere e dei benefici che questo modello forestale potesse offrire per il miglior utilizzo del legname e la riduzione della pressione su altri legni. È meraviglioso iniziare ad alleggerire la pressione su un materiale o una fornitura aumentando la nostra offerta di legname con altre specie, alcune delle quali ora provenienti da foreste urbane. Ciò significa che questa iniziativa ha la possibilità di continuare a un ritmo propseroso e costante, e noi possiamo continuare a diversificare. Questa è una situazione soddisfacente ed emozionante per un produttore di chitarre.

Piccoli corpi, grande fascino

Scorri verso il basso

Dalla Grand Concert alla Grand Theater, i design innovativi per chitarre dal corpo ridotto hanno reso l’esperienza di suonare più accessibile, espressiva e divertente.

Andy Powers e io ci siamo avvicinati a un grande e bellissimo tavolo da lavoro al centro del suo laboratorio rinnovato di recente nel campus della Taylor per parlare del realizzare chitarre in questa azienda. Questo spazio è l’ambiente ideale che ispirerebbe chiunque ami il legno e lavorarci: pulitissimo, spazioso, ricco di luce naturale proveniente dalle finestre che arrivano fino al pavimento su un lato. Il laboratorio è arredato con un mix di bei tavoli da lavoro e armadietti costruiti su misura, tutti realizzati con avanzi di sapelli, blackwood, ebano e altri legni che non potrebbero essere usati per le parti di una chitarra, compreso il pavimento a scacchiera in ebano e sapelli. L’atmosfera è raffinata-rustica, calda, senza pretese e altamente funzionale.

Le chitarre acustiche non iniziarono così alla grande. Le prime Stauffer e Martin del XIX secolo avevano una forma slanciata e furono i precursori delle chitarre compatte da salotto che arrivarono più avanti in quel secolo.

Le proporzioni cominciarono a crescere nei primi anni del XX secolo, a seguito delle importanti innovazioni di design, come l’incatenatura a X e le corde d’acciaio, che tutte insieme concorrevano a pompare il volume per competere con i banjo, i mandolini e l’orchestra (si pensi alle percussioni e ai corni) in ambienti più grandi.

Col tempo, con l’evoluzione dell’amplificazione acustica, i pick-up cominciarono a essere aggiunti alle chitarre acustiche con top piatto. Alla fine degli anni ‘60, Glen Campbell suonava una Ovation acustica-elettrica con un pick-up piezo nel suo show televisivo settimanale e negli anni successivi Takamine si spinse oltre con i propri pick-up acustici, mentre altri progettisti di pick-up offrivano opzioni after-market ai produttori di chitarre acustiche. Per alcuni tradizionalisti mettere un pick-up su una chitarra acustica era un’eresia, ma Bob Taylor ascoltò gli appelli dei musicisti e iniziò a mettere i pick-up Barcus-Berry su alcune delle sue chitarre. E anche se il suono acustico amplificato prodotto dalla maggior parte dei pick-up dell’epoca non era granché rispetto agli standard odierni dei pick-up, ciò significava che nell’era moderna le chitarre acustiche non dovevano più essere grandi per essere ascoltate.

“Alle persone piacciono le chitarre piccole”, dice Bob Taylor. “Sono comode da suonare e a quel tempo  sentivamo che potevamo iniziare a concentrarci sull’intimità e le qualità sonore di una chitarra più piccola, perché poteva sempre essere amplificata al bisogno.”

È nata la Grand Concert

La prima chitarra con corpo ridotto della Taylor, la Grand Concert, debuttòò nel gennaio del 1984, quando la Taylor esisteva ormai da un decennio e un decennio prima della Grand Auditorium. Oltre all’arrivo dei pick-up, ci furono altri fattori che ispirarono il design dello strumento piùù picccolo. Uno era il desiderio tra i chitarristi elettrici di un corpo acustico più compatto.

“Un sacco dei nostri primi clienti erano principalmente dei chitarristi elettrici e adoravano i nostri manici sottoli, ma non volevano una comune chitarra grande”, ricorda Bob Taylor. “Erano abituati a delle chitarre piccole contro il corpo, quindi dicevano: ‘Come possiamo avere una chitarra ridotta che suoni come quelle che realizzate?’”.

Nel frattempo, il cofondatore della Taylor Kurt Lustig, che era diventato il commesso viaggiatore dell’azienda, era tornato da alcuni lunghi viaggi in auto dopo aver visitato i rivenditori e riferito che questi chiedevano una chitarra con un corpo ridotto. (Kurt riflette su quel periodo nella sua rubrica in questo numero.)

La febbre del fingerstyle

In quello stesso periodo era emersa una nuova schiera di chitarristi acustici fingerstyle all’avanguardia. Molti attingevano a diverse influenze musicali: blues, folk, classica, jazz, pop, celtica, ambient, e così via; e le sintetizzavano in modi nuovi ed eccitanti. Molti esploravano accordature alternative, tecniche percussive di tapping e altre forme di espressione musicale melodica e armonica. Tra le loro composizioni originali e gli inventivi arrangiamenti fingerstyle di canzoni popolari, espandevano la tavolozza sonora della chitarra acustica, e molti cercavano attivamente nuovi tipi di strumenti in grado di ottimizzare la loro gamma espressiva.

Un chitarrista fingerstyle di talento fu Chris Proctor, il campione nazionale di fingerstyle all’annuale Walnut Valley Festival del 1982, che si teneva a Winfield, Kansas. Per anni Proctor aveva cercato un liutaio di chiatarre che realizzasse lo strumento fingerstyle dei suoi sogni.

“Ero frustrato dalla mancanza di opzioni adeguate sul mercato per i chitarristi fingerstyle”, scrisse in un articolo su Wood&Steel del 2006. “Avevo iniziato a immaginare una chitarra con un corpo ridotto e con un suono chiaro e un equilibrio tra le basse e le alte, che avesse una spalla mancante e un manico piùù ampio, fosse stabile nelle riaccordature multiple e che suonasse ‘come una Taylor’.”

“Un sacco dei nostri primi clienti erano principalmente dei chitarristi elettronici e adoravano i nostri manici sottoli, ma non volevano una comune chitarra grande.”

Bob Taylor

All’epoca le chitarre dreadnought e jumbo a sei corde della Taylor avevano un’ampiezza del capotasto di 1-11/16 pollici  che, al tempo, era comune tra le chitarre acustiche, ma era stretta per i tipi di musica di un chitarrista fingerstyle strumentale. E le dimensioni ingombranti del corpo non permettevano di suonare in posizione seduta, cosa che i chitarristi fingerstyle, come quelli classici, tendevano a fare.

Proctor incontrò Bob e Kurt al Summer NAMM Show del 1983 e all’epoca Bob stava già pensando a una chitarra con corpo ridotto. Ci furono altre conversazioni e Bob costruì una chitarra personalizzata per Proctor, che si rivelò essere la prima Grand Concert. Aveva il fondo e le fasce in koa, un top in abete Sitka, un’affilata spalla mancante fiorentina e un manico extralargo da 1-7/8 pollici per accogliere le dita e lo stile di Proctor. Taylor lanciò ufficialmente la nuova forma al Winter NAMM Show nel 1984 con due modelli: una 512 in mogano/abete e una 812 in palissandro/abete, entrambe con un’ampiezza del capotasto di 1-3/4 pollici.

Seguirono altri abbinamenti di legni, tra cui la 612ce con spalla mancante in acero/abete, che attirò l’attenzione dei musicisti di sessione e dei tecnici di registrazione di Nashville. Come osservò Proctor: “Era un grande strumento per aggiungere scintillanti tracce ritmiche alle sessioni di registrazione del country e dell’Americana. La chiarezza del suono della Grand Concert la rendeva ideale per arricchire la complessità e lo scintillio di queste canzoni, senza confondere le voci o intralciare le linee principali o altre parti di chitarra. Ben presto le 612ce divennero più o meno lo strumento standard delle sessioni di Nashville”.

Bob Taylor ricorda dei feedback simili degli ingegneri per le virtùù sonore della Grand Concert durante le registrazioni paragonata alle acustiche con corpo piùù grande.

“Gli ingegneri ci dissero che di solito dovevano passare tutto il tempo a cercare di tirare fuori il suono da un mix, perché c’erano troppi armonici, troppo rimbombo e troppo rumore”, dice. “Ci dicevano: ‘Ma non dobbiamo farlo con questa chitarra piccola, possiamo metterci un microfono davanti e registrare. Faremo il nostro lavoro e avremo una traccia che suona bene’.”

Un corpo ridotto reagiva maggiormente anche a un tocco piùù leggero, perché il top poteva essere messo in movimento con piùù facilità. Ed era piùù facile suonarla in modo più esteso senza doverlo fare con tanta energia e con meno dolore per la mano.

Gli artisti Taylor Sam Yun, Daniel Fraire, Cameron Griffin e Francisca Valenzuela ci spiegano l’unicità delle chitarre più piccole grazie alla loro tipica versatilità e suonabilità.

Le Grand Concert a 12 tasti

Nel corso degli anni Taylor ha continuato a perfezionare la Grand Concert in modi interessanti. Nel 2006 la lunghezza standard della scala fu modificata da 25-1/2 pollici a 24-7/8 pollici. In termini di sensazione della mano, la lunghezza della scala ridotta riduce la tensione delle corde, creando una sensazione più sottile, e si traduce in una spaziatura dei tasti leggermente condensata per premerli con più facilità, specialmente con forme di accordi più sofisticate che si estendono su più tasti.

Dal suo arrivo nel 2011, il maestro liutaio Andy Powers ha abbracciato il corpo Grand Concert come struttura per altri design ed esperienze di suonabilità uniche, tra cui una serie di modelli a 12 tasti e 12 corde. I nostri modelli a 12 tasti sono caratterizzati da un battipenna scanalato e un manico leggermente più corto delle nostre edizioni a 14 tasti. L’orientamento manico-corpo sposta anche la posizione del ponte più lontano dal foro di risonanza e più vicino al centro della cassa inferiore. Questo posizionamento cambia il movimento della tavola in un modo che generi più potenza sonora, più calore e dolcezza tonale, e una gamma media vibrante.

“Nonostante la dimensioni compatte, la Grand Concert 12 tasti può produrre un suono sorprendentemente rauco con una vasta gamma dinamica.”

Andy Powers

“Nonostante la dimensioni compatte, la Grand Concert 12 tasti può produrre un suono sorprendentemente rauco con una vasta gamma dinamica”, afferma Andy.

E da quando nel 2019 le Grand Concert hanno un nuovo suono grazie all’incatenatura Classe V di Andy, i nostri modelli a 12 tasti sono diventati ancora più versatili, producendo delle basse splendidamente chiare e articolando le caratteristiche sonore di ogni particolare abbinamento di legni in modi più distinti che mai. (Per maggiori informazioni sulle nostre Grand Concert Classe V, vedete la storia nel numero invernale del 2019 [Vol. 19] di Wood&Steel.)

Anche 12 corde

Andy ha anche sfruttato le dimensioni intrinseche e l’ultra-suonabilità delle nostre Grand Concert a 12 tasti per progettare nuovi modelli a 12 corde,  tradizionalmente costruiti con corpi più grandi, rendendo l’esperienza di suonare con 12 corde molto più accessibile a livello fisico. Come spiega, il corpo ridotto tende a essere naturalmente più forte ed efficiente, quindi avendo 12 corde, la chitarra non ha dovuto essere rinforzata in modo così pesante.

“Il corpo della Grand Concert è perfetto per le singole corde più piccole di una 12 tasti”, dice. “Un musicista può metterla in movimento con facilità. Inoltre, la cassa di risonanza ridotta accentua i tipi di frequenze che producono le corde e le ottave più piccole.”

E a livello di suono, soprattutto per le applicazioni di registrazione, il corpo ridotto produce solo la brillantezza e gli armonici giusti della 12 tasti, un suono che sta nella sua corsia senza sopraffare il mix.

Le nostre ultime Grand Concert a 12 corde vantano altre caratteristiche uniche che migliorano le loro prestazioni: l’incatenatura Classe V per un’intonazione meravigliosamente accurata; il nostro sistema di ancoraggio delle corde a doppio montaggio, in cui ogni coppia di corde condivide un perno del ponte, dando a tutte le corde un angolo di rottura coerente sul ponticello; e un ponticello a doppia compensazione, che allinea le corde della fondamentale e dell’ottava sullo stesso piano per un’esperienza di strimpellamento più fluida.

La Grand Concert a 12 corde più facile da suonare potrebbe essere la Builder’s Edition 652ce di Andy uscita nel 2020. Presenta un corpo in acero e un top in abete torrefatto; un poggiabraccio smussato e una spalla mancante smussata per essere più confortevole da suonare; e un’impostazione delle corde al contrario che enfatizza la nota fondamentale e produce un suono più pulito a 12 corde.

Altri modelli Taylor con corpo ridotto

La Baby Taylor

In origine, lo strumento che ha aiutato ad affermare la chitarra da viaggio come categoria a sé stante, la Baby Taylor, doveva essere un ukulele. Era la metà degli anni ‘90 e un rispettabile rivenditore Taylor a una fiera aveva fatto capire a Bob che c’era una crescente rinascita dell’interesse per gli ukulele e che Taylor avrebbe tratto beneficio dall’aggiungerli alla sua linea di strumenti.

Bob andò a casa e cominciò a lavorare al design, ma ebbe un’epifania in corso d’opera.

“Quando progetto qualcosa, allo stesso tempo penso a come posso realizzarlo”,. spiega, “perché se non posso farlo, non lo progetto. E ho pensato: ho davvero intenzione di fare tutta questa attrezzatura da dedicare a un ukulele? Se mettessi lo stesso sforzo nell’attrezzatura per fare una piccola chitarra, penso che venderemmo di più.”

Bob aveva anche pensato a un nuovo approccio alla produzione di manici di chitarra e il progetto Baby è stato un modo per testarlo, insieme ad alcune altre nuove idee di produzione.

“Ogni volta che decidiamo di fare un nuovo modello basato su un’idea nuova che ha bisogno di nuove attrezzature, approfittiamo di questa situazione”, dice. “Ci dà l’opportunità di provare un nuovo metodo di costruzione, che non possiamo facilmente introdurre nell’attuale produzione di altre chitarre. Questo è uno dei modi in cui possiamo continuare a innovare, a incorporare un design dinamico nella nostra fabbrica. La chitarra e l’attrezzatura nuove sono un modo per testare queste cose e vedere se possono essere integrate nel nostro modo di fare le cose in futuro. Per esempio, potremmo decidere di fare una spalla mancante sagomata per una chitarra Builder’s Edition e, se dovesse risultare magnifica e potessimo farla su altri modelli, sarebbe fantastico. Ma se funziona solo su questo, ne vale comunque la pena.”

Con la Baby, Bob ha deciso di investire nel suo primo laser per tagliare i top e i fondi e incidere la rosetta. Ora tagliamo tutti i top e i fondi delle nostre chitarre in questo modo. E le idee di costruzione del manico che Bob ha sperimentato con la Baby hanno portato direttamente alla progettazione dell’articolazione del manico brevettata Taylor che usiamo attualmente su tutte le nostre chitarre.

E per quanto riguarda la stessa Baby Taylor? Dopo la sua introduzione nel 1996, la mini dreadnought da tre quarti è diventata la chitarra da viaggio/per bambini più popolare di tutti i tempi (anche se si potrebbe sostenere che ora questo titolo appartiene alla GS Mini). E mentre il suono della Baby non è chiaramente grande o profondo come quello di una chitarra di dimensioni normali, i musicisti professionisti hanno riconosciuto la sua legittimità come strumento musicale e hanno abbracciato il suono unico in modi interessanti, come le corde ad alta tensione per la registrazione per aggiungere un tocco di armonici in ottava al mix, o il capotasto per ottenere dei  suoni da mandolino. Nel mondo della musica latina abbiamo anche visto persone convertire la Baby in una chitarra tres in stile cubano.

GS Mini

Un’altra testimonianza incredibile del fascino delle chitarre con corpo ridotto è la GS Mini, a mani basse il design di chitarra più popolare che Taylor abbia mai proposto. Rilasciata nel 2010, la Mini è iniziata come una riprogettazione della Baby. Dopo quasi 15 anni Bob voleva migliorare il suono della Baby, così lui e il partner di design Taylor Larry Breedlove hanno provato di tutto per sovraccaricarla, ma niente ha spostato l’ago abbastanza, almeno lavorando con le sue proporzioni originali. (Nel 2000, Taylor aveva introdotto la Big Baby, che era anche diventata un prodotto popolare, ma era quasi una dreadnought a dimensioni normali con una scala di 15/16 pollici, una lunghezza della scala di 25-1/2 pollici, anche se la sua profondità del corpo di quattro pollici ha creato una sensazione più intima contro il corpo del musicista.)

Bob e Larry si resero conto che avrebbero dovuto rendere il corpo più grande e profondo, e la lunghezza della scala più lunga (la Baby era di 22-3/4 pollici), ma volevano mantenere la sensazione invitante e accessibile data da una chitarra compatta e portatile. Così presero in prestito e ridimensionarono le curve del corpo della Grand Symphony della Taylor, che era stata introdotta nel 2006, scelsero una scala più lunga di 23-1/2 pollici e incorporarono il design del manico brevettato da Taylor, che avrebbe assicurato una precisa geometria dell’angolo del manico, incluso un tacco pieno per una maggiore stabilità.

“Era una chitarra di cui sentivo di poter essere orgoglioso”, dice Bob. “Si sentiva meglio, era un po’ più grande, si poteva ancora mettere nella cappelliera di un aereo e aveva una custodia da concerto”, aggiunge. “Non sapevo che sarebbe diventata ‘la chitarra della gente’. Ha davvero stabilito la sua identità unica e penso che in qualche modo potrebbe essere il nostro miglior risultato: una chitarra non troppo preziosa, che tutti amano, che è conosciuta in tutto il mondo e che un principiante, una nonna e un professionista vogliono avere.”

La GS Mini è stata anche ampliata come serie per offrire una gamma di opzioni di legno e trattamenti estetici, tra cui la splendida GS Mini-e Koa Plus, con top in koa e shaded edgeburst. E Andy Powers ha aggiunto la sua impronta alla serie con il design del GS Mini Bass, che è riuscito a tradurre la lunghezza della scala di solito più lunga di un basso nelle proporzioni del GS Mini, offrendo ai musicisti un basso acustico facile da suonare e con un grande suono, che è diventato uno strumento musicale stimolante per tutti i tipi di musicisti, compresi i bambini.

Academy 12 / Academy 12-N

Lo stesso spirito di rendere le chitarre comode da suonare a livello fisico e non troppo preziose ha anche ispirato il design della nostra serie Academy. Questa volta Andy Powers era al timone del progetto e ha voluto distillare una grande chitarra nei suoi elementi essenziali per renderla più accessibile (un tema che di recente abbiamo rivisitato con le nostre chitarre American Dream). Due dei tre modelli hanno il corpo della Grand Concert: la Academy 12 con corde in acciaio e la Academy 12-N con corde in nylon (entrambe disponibili anche con elettronica).

Entrambi i modelli hanno un top in abete massiccio, un corpo in sapele impiallacciato e un poggiabraccio semplice per essere più confortevole da suonare. La versione con corde in acciaio ha un’ampiezza del capotasto di 1-11/16 pollici e una lunghezza della scala di 24-7/8 pollici, rendendola anche una grande chitarra a dimensioni normali per principianti o per tutti i giorni; la versione con corde in nylon ha un manico di 12 tasti, una larghezza del capotasto di 1-7/8 pollici (per ospitare il diametro leggermente più spesso delle corde in nylon) e dà una sensazione e un suono incredibili. Data la popolarità della chitarra a corde di nylon in altre culture in tutto il mondo, è un grande modello per i mercati internazionali e, per chi suona strumenti a corde in acciaio che cercano di aggiungere un po’ di sapore di nylon alla loro musica, è probabilmente la migliore chitarra che troverete a quel prezzo. (Produciamo anche modelli Grand Concert con corde in nylon all’interno di altre serie della nostra linea.)

La GT

Le nostre nuove chitarre GT sono l’aggiunta più recente alla linea Taylor e continuano i nostri sforzi per fondere il comfort di suonabilità e un grande suono in una forma compatta. Nello stesso modo in cui il desiderio di migliorare il suono della Baby ha portato alla GS Mini, quello di migliorare il suono della GS Mini ha portato alla GT. Ancora una volta, la sfida era quella di preservare le proporzioni compatte che fanno sentire una chitarra acustica invitante e accessibile a livello fisico, mentre si spingevano le dimensioni abbastanza da produrre un suono acustico di livello professionale e da mantenere l’atmosfera divertente e accessibile che rende le chitarre più piccole delle ottime compagne di viaggio.

Le dimensioni del design di Andy si sommano in una chitarra che vive in quel punto di delicato equilibrio: un corpo Grand Orchestra in scala ridotta con una lunghezza che si colloca tra la GS Mini e la Grand Concert; una lunghezza della scala “media” di  24-1/8 pollici, che si colloca tra quella della Mini (23-1/2) e la Grand Concert (24-7/8); e una larghezza del capotasto (1-23/32 pollici) che fornisce una spaziatura delle corde, collocandosi tra la nostra larghezza del capotasto più stretta (1-11/16) e la larghezza 1-3/4 pollici, che è standard sulla maggior parte dei modelli a 6 corde in acciaio, e con una costruzione interamente in legno massiccio.

La sensazione delle corde (una combinazione di corde a bassa tensione e la loro scala di lunghezza media) ha la flessuosità di una chitarra con una scala di 25-1/2 pollici che è stata accordata di un mezzo tono sotto, ma ancora con una risposta piacevolmente focalizzata e incisiva. Dal punto di vista sonoro, Andy ha progettato la nostra nuova incatenatura Classe C™ (prendendo in prestito dalle sue idee della Classe V) per affrontare una delle più grandi sfide di una chitarra dal corpo più piccolo: che risponda abbastanza alle basse frequenze per produrre un’ampia pienezza e profondità.

Per sottolineare ulteriormente il nostro desiderio di offrire ai musicisti un’altra opzione di chitarra a corpo piccolo accessibile, il primo modello GT uscito, la GT Urban Ash, aveva un prezzo di soglia minima per le nostre acustiche interamente in legno massiccio. Quel modello è stato presto seguito dalla GT 811e in palissandro/abete e dalla GT K21e interamente in koa.

Anche se la GT è uscita solo da poco tempo, si è ritagliata in fretta il suo posto tra le offerte di chitarre compatte di Taylor sia nel feeling che nel suono. “Intima”, “agile”,  “dolce”, “concentrata” e “divertente da suonare” sono tra i ritornelli che sentiamo da musicisti e recensori dopo aver avuto la possibilità di suonarla.

Ridotto per tutti

Più di 35 anni dopo che Bob Taylor costruì la sua prima Grand Concert, le nostre chitarre con corpo ridotto si sono evolute in una famiglia di strumenti diversi e ricchi di sfumature, e hanno ampliato la gamma di ciò che una chitarra compatta può fare. Qualunque sia la vostra costituzione fisica, il livello di abilità, lo stile musicale o le applicazioni, queste chitarre vi inviteranno, vi faranno sentire a vostro agio e risponderanno alla grande al vostro modo di suonare.

Missione spagnola

Scorri verso il basso

Il nostro partner spagnolo per l’approvvigionamento, Madinter, è diventato un nome rispettabile nell’industria musicale e un leader appassionato nelle pratiche di approvvigionamento etico.

Cosa potrebbero sapere un veterinario, un cameriere e una ballerina sull’approvvigionamento di legno per I liutai?

In realtà, un bel po’, ma 20 anni fa, quando fu lanciata la loro azienda, Madinter, c’era ancora molto da imparare mentre si dirigevano insieme verso un nuovo percorso professionale. Il co-fondatore, CEO e proprietario di maggioranza Vidal de Teresa (il veterinario), il direttore di produzione Jorge Simons (il cameriere) e la direttrice delle vendite Luisa Willsher (la ballerina), insieme al co-fondatore e socio silenzioso Miguel Ángel Sánchez, formano il team di gestione dell’azienda, che fornisce legni e parti finite ai costruttori di strumenti musicali, tra cui Taylor.

La sede della Madinter con i suoi 20 dipendenti ha sede nella città spagnola di Cerceda, situata nella provincia di Madrid, Spagna, a circa 45 minuti dal centro della città. Potreste aver già sentito il nome Madinter (una contrazione di Madera, la parola spagnola per legno, e International) dai nostri rapporti sull’ebano in Camerun, poiché Madinter è il nostro partner di proprietà della fabbrica di ebano Crelicam. Questa partnership, ora al suo decimo anno, testimonia l’impegno condiviso di entrambe le aziende verso pratiche di approvvigionamento etico e verso la creazione di economie forestali più sostenibili, che supportano i mezzi di sussistenza delle comunità locali coinvolte nella catena di approvvigionamento.

Sebbene sia un’azienda relativamente piccola, negli ultimi vent’anni Madinter è cresciuta in molti modi facendo da guida nell’innalzamento degli standard di sostenibilità, legalità e responsabilità tra i fornitori di legname. Per celebrare il loro 20° anniversario, abbiamo voluto mettere in contatto la comunità Taylor con il nostro prezioso partner e sottolineare l’importante ruolo che svolge nel sostenere una vivace comunità musicale globale e una gestione responsabile delle foreste.

Abbiamo chiacchierato con Luisa e Vidal via email, dove hanno condiviso il viaggio che li ha portati alla Madinter e hanno riflettuto sull’evoluzione costante dell’azienda nel perseguire la sua visione.

Parlateci un po’ di più della città di Cerceda, dove si trova la sede.

Cerceda è un paesino di circa 2.500 abitanti situato sulle montagne di Madrid, a circa 30 minuti dall’aeroporto internazionale di Madrid Barajas. Siamo accanto al Parco Nazionale della Sierra de Guadarrama, nel nord della provincia di Madrid, un luogo unico per il suo ambiente naturale. La Sierra de Guadarrama è piena di posti sorprendenti grazie alla sua bellezza e alla sua ricchezza geologica e biologica. Qui si trovano immensi boschi di conifere, prati di alta montagna, paesaggi innevati, enormi cime rocciose, ruscelli, cascate e laghi glaciali, che costituiscono un ambiente con un valore naturale speciale, che ospita specie endemiche e alcune in pericolo di estinzione in Spagna.

Cosa potrebbe essere interessante del design delle vostre strutture? Per esempio, uno dei vostri edifici ha una facciata particolare, che sembra un’interpretazione artistica dei tronchi degli alberi.

Sì, è una facciata unica realizzata in acciaio corten con una patina che imita la sagoma di una foresta di conifere, molto simili a quelle che abbiamo dalle nostre parti. Le componenti simulano i tronchi del pino selvatico, l’albero più rappresentativo del parco. Volevamo rendere un piccolo omaggio alle foreste e al legno.

Sui tetti dei nostri edifici sono presenti dei pannelli solari per rendere l’attività più sostenibile e minimizzare le emissioni di carbonio. Inoltre, bruciamo la segatura in fornaci e ne utilizziamo il calore per gli essiccatoi, dove essicchiamo il legno e per riscaldare gli edifici in inverno.

Come fu fondata l’azienda?

Prima di fondare la Madinter, Miguel aveva un’azienda che vendeva legno ai liutai e anche chitarre, aiutandoli a esportare i loro prodotti verso altri mercati. Nel 2001 Miguel e Vidal fondarono la Madinter, e io e Jorge ci unimmo alla squadra in seguito. Ora l’azienda è specializzata unicamente nella produzione e nella vendita di componenti di strumenti musicali.

Nel 2003 Miguel lasciò l’azienda per diventare un partner silenzioso e creare un’altra compagnia dedicata alla realizzazione di scarpe da flamenco, Calzado Senovilla. Data la sua esperienza con i legni per chitarre, decise di utilizzarli e di incorporarli nella creazione delle scarpe. Oggi queste calzature hanno una grande reputazione e sono indossate dai migliori ballerini di flamenco di tutto il mondo.

Vidal, eri un veterinario, quindi avviare la Madinter è stato un bel cambiamento di carriera. Cosa ti ha motivato?

Nel 2001, dopo undici anni come veterinario, ho venduto la mia azienda e mi sono trovato a un bivio personale. Amavo la mia professione, che era sempre stata la mia vocazione, ma avevo altre passioni al di fuori della medicina veterinaria: viaggiare, conoscere le foreste pluviali e iniziare una nuova impresa commerciale. Il mondo della liuteria non mi era estraneo perché, quando studiavo medicina veterinaria a Parigi, Miguel mi mandava del legno e, quando avevo tempo tra i miei studi e la pratica alla scuola veterinaria, facevo visita ai liutai e offrivo loro questi legni. Questo mi portò soldi extra e mi permise di scoprire l’eccitante mondo del legno, dei liutai e della musica.

Il grande maestro liutaio Daniel Friederich fu il mio primo cliente. Andai nel suo laboratorio nel quartiere di Faubourg Saint-Antoine, vicino alla Bastiglia a Parigi. Aveva con sé una manciata di set di fasce e fondi in palissandro. Ero un giovane inesperto, ma molto curioso. Si prese cura di me in modo squisito, mi mostrò gli angoli del suo laboratorio e mi istruì sul legno che gli portai. Era un laboratorio da favola, pieno di aromi, trucioli di legno e chitarre in fase di costruzione. Quel giorno volli saperne di più su quel mestiere e su quei legni, da dove venivano, come venivano tagliati ed essiccati. Quello è stato il seme che ha acceso in me una passione e anni dopo mi ha fatto cambiare carriera e iniziare una nuova emozionante storia.

Luisa, sei originaria del Regno Unito e hai studiato danza. Come sei stata coinvolta nella Madinter?

Sono nata e cresciuta in Inghilterra, e dai dieci ai diciotto anni ho frequentato una scuola privata di arti dello spettacolo. Perlopiù ci insegnavano il balletto classico, ma ho studiato anche altri generi di danza e mi sono innamorata subito del flamenco. Dopo essere stata in Spagna un paio di volte per dei brevi corsi di danza, a diciotto anni ricevetti la mia prima offerta di lavoro e mi ci trasferii, sapendo che non sarei mai più tornata in Inghilterra. A ventiquattro anni mi fratturai il piede durante una prova. All’epoca Madinter stava muovendo i suoi primi passi con Vidal, Miguel e Jorge, e gli detti una mano per tenermi occupata, traducendo e scrivendo ai clienti. Allora tutta la corrispondenza era via posta o via fax. Comprammo il dominio www.madinter.com, iniziammo a scrivere email, costruimmo la prima pagina web e cominciammo a migliorare sempre di più. Quando il mio piede guarì e avrei potuto tornare a ballare, ero così coinvolta e mi piaceva il lavoro che stavo sviluppando a Madinter, che non me ne sono mai andata. Ora ballo solo per divertimento.

Negli anni la vostra gamma di prodotti e servizi si è ampliata molto dopo aver iniziato esclusivamente come fornitore di legname. Come si è evoluta la vostra attività?

All’inizio fornivamo il legno solo ai produttori di strumenti musicali. Abbiamo iniziato con una mezza dozzina di specie di legno e oggi ne offriamo più di 40 diverse per la fabbricazione di strumenti musicali, specialmente chitarre, e forniamo anche componenti, accessori e strumenti. Inoltre, ci siamo più specializzati nella produzione di parti finite di strumenti musicali utilizzando macchinari unici e precisi, che ci permettono di aggiungere più valore alla materia prima. Di conseguenza, negli ultimi anni il nostro modello di attività è cambiato molto. Non riforniamo più solo i produttori di strumenti musicali, ma anche gli artigiani e i liutai amatoriali. Il nostro sito web è diventato un centro di risorse nel settore, perché offriamo una vasta gamma di prodotti e soluzioni. Tagliamo il legno, lo asciughiamo, lo lavoriamo, facciamo componenti finiti pronti per assemblare strumenti e realizziamo anche prodotti personalizzati per diversi clienti. Lavoriamo con fabbriche, laboratori e costruttori di tutto il mondo, e da tre anni distribuiamo i prodotti StewMac in Europa; siamo il loro unico distributore oltre a loro.

“Negli ultimi dieci anni abbiamo visto molti giovani liutai o perfino amatori attratti dal fai da te che iniziano a costruire degli strumenti.”

La Spagna ha un’eredità chitarristica immensa e, da quanto ho capito, attualmente ci sono molti liutai nel Paese. Potete darci una prospettiva su questo fatto e su come influisce sulla vostra attività?

La Spagna è un Paese con una grande tradizione nella costruzione di chitarre classiche e flamenche. Abbiamo molti liutai bravi. Negli ultimi dieci anni abbiamo visto molti giovani liutai o perfino amatori attratti dal fai da te che iniziano a costruire degli strumenti. Molti di loro sono attratti perché sono musicisti e vorrebbero sapere come costruire lo strumento che suonano, altri perché hanno conoscenze di ebanisteria e vorrebbero imparare a fare chitarre e diversificare la loro attività. In ogni caso, il fattore determinante in questa esplosione di nuovi liutai è Madinter e aziende simili che hanno messo a disposizione nel mercato una grande varietà di prodotti per trovare tutto il possibile per costruire uno strumento musicale, dai materiali e prodotti finiti a tutti i tipi di componenti, accessori e attrezzi da liutaio. Inoltre, ci sono molti liutai in tutta Europa e possiamo raggiungerli attraverso Madinter.com. La nostra clientela si è diversificata enormemente e continua a crescere di mese in mese.

Luisa, in un’email precedente hai detto che una delle chiavi del successo di Madinter è stata la capacità di adattarsi al cambiamento. Puoi approfondire questo aspetto in qualche modo specifico? Un pensiero che mi viene in mente è il modo in cui negli ultimi due decenni i requisiti di conformità legale sono cambiati con regolamenti come l’emendamento al Lacey Act o i cambiamenti nello status di alcune specie di legno con la CITES o la legislazione europea sul legname.

Ci siamo adattati al cambiamento in molti modi negli ultimi vent’anni, ma un fattore chiave è stata davvero la decisione di concentrarci sulla legalità. Quando il Lacey Act è stato modificato per includere gli strumenti musicali, Madinter sottolineava già l’importanza che il nostro legno provenisse da fonti legali e responsabili. Così, quando l’industria ha capito che anche loro avevano bisogno di assicurarsi di acquistare legno legale, Madinter aveva un solido sistema di debita diligenza in atto e una vasta conoscenza di conformità, CITES, ecc.

Ecco altri esempi: nei nostri primi anni abbiamo creato il primo negozio online su Madinter.com, che nessun altro aveva. Abbiamo visitato l’Asia e abbiamo iniziato a offrire legno massiccio alle fabbriche cinesi prima ancora che qualcuna di esse facesse chitarre in questo materiale! Abbiamo anche ampliato il nostro catalogo per soddisfare le esigenze dei nostri clienti e diversificare il nostro business. Abbiamo aggiunto componenti, accessori e strumenti, e siamo molto orgogliosi che StewMac si fidi di Madinter per essere il loro unico distributore oltre a loro stessi.

Inoltre, i nuovi liutai non erano più i figli delle vecchie generazioni: erano nuovi arrivati che stavano imparando il mestiere, così abbiamo iniziato a offrire corsi di liuteria.

Parti per un video tour nelle strutture di lavorazione del legno di Madinter, nella cittadina di Cerceda in Spagna.

Oltre alla vostra gamma di prodotti e servizi, cosa pensate che vi distingua dalle altre aziende?

La nostra visione come azienda è quella di guidare l’industria musicale nella promozione di un’economia forestale sostenibile, mantenendo i più alti standard di sostenibilità, legalità e responsabilità nell’approvvigionamento di legname. Fin dall’inizio abbiamo deciso che non volevamo essere un’altra azienda che si limita a tagliare alberi. Volevamo fare le cose in modo corretto. Per cominciare, volevamo assicurarci che ogni singolo pezzo di legno provenisse da una fonte legale, rispettando tutte le leggi nazionali e internazionali. Questo dovrebbe essere ovvio e la regola, ma purtroppo non lo è. E poi fare un passo avanti e assicurarsi che l’ambiente e le persone non siano danneggiate, e se possiamo, avere un impatto positivo sul mondo.

Quest’anno non è solo il 20° anniversario di Madinter, ma anche il decimo anno di collaborazione tra Madinter e Taylor in Crelicam. Come si riflette su ciò che le nostre due aziende sono riuscite a realizzare finora e cosa significa per i dipendenti di Crelicam e per gli altri operai e partner di fornitura in Camerun?

Siamo molto orgogliosi di questa partnership e di quanto abbiamo realizzato insieme. In soli dieci anni abbiamo cambiato molte cose e sempre in meglio. Quando abbiamo acquisito Crelicam e disegnato il logo abbiamo anche aggiunto uno slogan a cui ci siamo attenuti: Commercio responsabile. Guardando indietro ciò che abbiamo realizzato insieme, siamo molto soddisfatti. Insieme siamo riusciti a far accettare all’industria l’ebano che prima non usava perché aveva un colore troppo chiaro; abbiamo migliorato le condizioni di vita dei nostri lavoratori, dei collaboratori e delle persone che vivono intorno alla fabbrica; e abbiamo migliorato la salute, le condizioni tecnologiche e le qualifiche professionali dei nostri dipendenti. E come ciliegina sulla torta, abbiamo lanciato l’Ebony Project per piantare e perpetuare l’uso dell’ebano per le generazioni future.

Durante questi anni abbiamo anche ricevuto riconoscimenti dall’industria musicale e dai governi di USA, Spagna ed Europa, che hanno premiato e riconosciuto pubblicamente il nostro lavoro in Africa. Ma la cosa più importante è che non è finita qui: abbiamo ancora molte idee, progetti e miglioramenti che vogliamo realizzare negli anni a venire.

Cosa apprezzate del vostro rapporto con Taylor?

Spesso ricordiamo la prima volta che abbiamo proposto l’acquisizione di Crelicam a Bob [Taylor] e come ha accolto l’idea e il suo entusiasmo fin dall’inizio.

Nel 2010 andammo ad Amsterdam perché sapevamo che Bob, Kurt e il direttore amministrativo e finanziario Barbara Wight si sarebbero incontrati in Olanda con il team di distribuzione europeo. Chiamammo Bob qualche giorno prima e gli dicemmo che volevamo presentargli una proposta commerciale. Avevamo passato settimane a lavorare su un elaborato business plan e avevamo una lunga presentazione da fare con molte idee e numeri. Quando arrivammo all’hotel dove alloggiava Bob e gli presentammo l’idea, lui interruppe subito la presentazione e disse: “Mi piace l’idea e la realizzeremo insieme”. Mezz’ora dopo, insieme a Bob, Kurt e Barbara, pianificavamo il nostro primo viaggio in Camerun. E così ebbe inizio questa meravigliosa avventura.

Lavorare con Taylor Guitars è stata la cosa migliore che ci sia capitata negli ultimi anni. Abbiamo trovato un gruppo di professionisti fantastici e persone meravigliose. Una menzione speciale deve andare al nostro grande amico e mentore, Bob Taylor, una persona meravigliosa con un grande cuore, con un’intelligenza e una brillantezza uniche, un lavoratore instancabile e un visionario nell’industria musicale. Abbiamo imparato e sbagliato insieme, ma siamo sempre andati avanti e continueremo a farlo per ottenere l’eccellenza.

Una crescita stazionaria

Scorri verso il basso

Come gli artisti hanno trovato l’ispirazione durante l’isolamento guardando dentro di sé

L’epidemia di COVID avrà anche momentaneamente svuotato locali, sale e stadi, ma non ha di certo messo a tacere chi di musica ci vive. Durante il periodo di lockdown, il mondo digitale è esploso di creatività grazie agli artisti che si sono ingegnati con una serie di strumenti per restare connessi coi propri fan, per comporre nuova musica da remoto e per collaborare con altri colleghi che non avrebbero mai conosciuto in situazioni differenti. Alcuni hanno continuato a offrire musica live, trasmettendo in diretta performance come produzioni elaborate e con video professionali o semplici jam session casalinghe. Altri invece hanno puntato a esplorare nuovi territori musicali, scrivendo brani che riflettessero la pressione del momento. Altri ancora hanno approfittato della pandemia per ritagliarsi del tempo da dedicare alla riflessione personale, un’opportunità per meditare sulla vita accrescendo il proprio senso di identità personale e musicale.

Laddove la vita sociale vede lente riaperture e la musica dal vivo torna timidamente a essere una realtà, gli artisti hanno ricominciato a inseguire la propria vocazione musicale. Ma per chi si appresta a rimettersi in marcia, è ormai chiaro che le cose sono cambiate: il mondo della musica è diverso, così come i concerti e la composizione. E mentre i musicisti tornano sui palchi e i posti a sedere tornano a riempirsi, molti si rimettono al lavoro con nuove idee su come realizzare uno show di qualità, scrivere un pezzo d’effetto e stabilire una solida connessione col pubblico. Il fattore determinante è la soddisfazione per ciò che si fa e la gratitudine per gli spazi culturali che danno risalto alla musica come forma di forza comunitaria.

I figli del digitale conoscono il mondo reale

Di tutte le conseguenze che l’industria musicale ha subito a causa della pandemia, una delle più incisive riguarda le realtà musicali meno note, che hanno ricevuto più notorietà con la chiusura momentanea dei locali fisici. Nella diretta streaming del precedente numero di Wood&Steel, gli artisti ci hanno raccontato del rinnovato potere degli strumenti digitali in grado di connettere musicisti e pubblico senza tener conto della distanza fisica, né delle restrizioni sociali. Grazie proprio a queste dirette, gli artisti hanno continuato a esibirsi in acustico davanti a un iPhone, mentre i loro fan inserivano reazioni digitali sotto forma di emoji e cuori vari. Si tratta di uno sviluppo molto positivo per tutti i musicisti, ma quelli più attivi sui social hanno indubbiamente ricevuto un impatto maggiore, grazie ai fan che seguivano i loro live online.

Ma non è sempre stato così. I musicisti già consolidati e con tournée importanti hanno dominato la scena, anche mentre piattaforme quali YouTube, SoundCloud e BandCamp guadagnavano sempre più popolarità tra gli artisti che ancora dovevano farsi un nome. Nell’era pre-COVID, gli artisti formatisi nel “mondo reale” hanno conservato un’aria di autenticità e qualità con cui gli artisti “digitali” non possono competere. In un certo qual modo, gli strumenti preposti a democratizzare la composizione musicale hanno finito per catalogare ancor più i musicisti più giovani, creativi e diversificati in un’arena online popolata da nicchie di fan di dimensioni relativamente ridotte. La passione c’era sicuramente, ma la visibilità no.

La pandemia ha segnato un cambio radicale. Artisti affermati e musicisti alle prime armi sono stati allontanati dai palchi fisici, così su Internet la musica del mondo digitale si è ritrovata per la prima volta ad annullare ogni genere di distinzione. Il risultato è stato un’esplosione di band, compositori e musicisti solisti finiti tutti sotto gli stessi riflettori, sebbene pochi di questi avessero un background già mostrato nel panorama musicale.

Ci vediamo in soggiorno

Tra i tanti artisti che sono riusciti a sfruttare le condizioni dei mesi di pandemia, la novità pop-punk delle Meet Me @ the Altar ha visto un percorso davvero entusiasmante. Il trio, composto da Téa Campbell (chitarra, basso, 224ce-K DLX), Ada Juarez (batteria) e Jedith Johnson (voce solista), fa musica insieme dal 2017, ma forse non nel senso che ci aspetteremmo. Fino a quest’anno, le tre musiciste hanno scritto e prodotto i loro brani a distanza, inviandosi su Internet idee, testi e parti strumentali a ripetizione, finché non giungevano a un prodotto finito. Tutt’a un tratto, il loro modo di comporre è divenuto la norma, e mentre i musicisti di tutto il mondo si adattavano a questo nuovo meccanismo creativo, le Meet Me @ the Altar si sono ritrovate con un enorme vantaggio.

“Siamo una smart band già da cinque anni”, dice Ada. “Io vivevo in Florida, Edith ad Atlanta e Téa nel New Jersey, perciò non avevamo mai composto un brano nella stessa stanza.”

E anche dopo aver traslocato tutte insieme durante la pandemia, le tre componenti delle Meet Me @ the Altar affermano che la vicinanza non ha cambiato in alcun modo il loro processo compositivo.

“Ora siamo coinquiline” dice Ada, “ma questa modalità funzionava già in passato e lo sapevamo. Perché rischiare di cambiare qualcosa di già efficace? Tutt’oggi componiamo prima in stanze separate e ci vediamo solo dopo. Solo i testi li scriviamo nella stessa stanza, per il resto tutto è rimasto come prima.”

Ada, Edith e Téa, le tre componenti delle Meet Me @ the Altar, ci parlano della loro esperienza compositiva durante la pandemia e suonano alcuni loro brani in acustico.

L’effetto “smart band” ha avuto un impatto che va anche oltre la semplice composizione. Con la grande esperienza di navigazione nel regno digitale e di interazione coi fan via web, il COVID ha senz’altro favorito l’impennata di notorietà della band. Il trio aveva in programma di avviare un tour tra il 2020 e il 2021, e invece si è ritrovato nella stessa casa, il luogo dove la composizione era l’unica valvola di sfogo creativo. Spogliare il settore musicale dei suoi elementi “tradizionali” ha fatto sì che gli artisti riconsiderassero l’essenza della loro arte. Ma per queste tre pioniere, la pandemia è stata una pentola a pressione che le ha aiutate a crescere tanto tecnicamente quanto emotivamente.

“La quarantena ci ha cambiate tanto”, ricorda Téa. “Non fosse stato per la quarantena, non avremmo avuto il tempo di sederci e riflettere sulla direzione che vogliamo intraprendere, né sulla nostra evoluzione come band.”

Invece del tour, le Meet Me @ the Altar hanno raddoppiato i loro sforzi compositivi. Invece delle dirette streaming (molto in voga tra i vari artisti in isolamento), loro si sono dedicate alla scrittura. Tranne per un unico show trasmesso in collaborazione coi ristoranti Wendy’s, le Meet Me @ the Altar si guardavano negli occhi, focalizzandosi sulla crescita vocale e sullo sviluppo di un’identità come musiciste.

“Più scrivi, più acquisisci sicurezza”, afferma Edith. “Per noi la quarantena è stata una benedizione sotto mentite spoglie. Ci ha messe insieme e noi siamo maturate grazie alla composizione. Oggi, tutto ciò che scriviamo è una spanna sopra ciò che producevamo tempo fa.”

E il duro lavoro ha ripagato. La band dice di aver vissuto un’esplosione durante la pandemia, passando da 3.000 follower a oltre 50.000. Ma anche se fa strano non riuscire a vedere una tale crescita corrisposta da un pubblico più numeroso durante i live, la connessione coi loro fan online le ha aiutate a trovate un proprio posto nella cultura pop in senso lato. Loro attribuiscono parte della loro crescita a una società in continuo cambiamento e a comportamenti sempre diversi che richiedono una maggiore inclusione di musiciste donne e artisti afro. E quale trio di donne afro, le Meet Me @ the Altar hanno di certo trovato il loro momento.

“Sono successe tante cose durante la quarantena. Problemi sociali, il movimento Black Lives Matter, la morte di George Floyd”, dice Edith. “Ma poiché non c’era molto che la gente potesse fare, tutti hanno avuto modo di riflettere sul mondo. La gente ha iniziato a considerare anche la vita e l’arte della comunità nera. Tra questi c’eravamo anche noi. E dato che la nostra musica è effettivamente di qualità, la gente è rimasta con noi.”

Contrariamente a quanto fatto da altri durante la pandemia, le Meet Me @ the Altar hanno trovato l’occasione d’oro per fare successo, coronando l’esplosione di popolarità con migliori abilità di composizione e un’identità più forte come band. Ma non tutti i musicisti di oggi sono nati nell’ecosistema digitale. Per quelli che hanno passato decenni vivendo l’approccio tradizionale, la pandemia è stata una sfida ben diversa. Come ci si può adattare ai tempi senza perdere di vista se stessi?

Tramutare la musica in comunità

Locali chiusi e concerti annullati sono stati certamente il problema più grande nell’industria musicale durante la pandemia, ma c’è stata un’altra sfida che si è manifestata in modo meno vistoso, ma non per questo meno importante: il problema della salute mentale. Isolamento, pressione economica mai vista e continui cambiamenti sociali hanno gravato su molti negli ultimi 18 mesi, compresi gli artisti che hanno visto la loro più importante fonte di catarsi emotiva, sociale e creativa (per non parlare della stabilità economica), strappatagli senza alcun avvertimento. Per Jim Ward, ex co-fondatore degli At the Drive-In, attuale chitarrista degli Sparta e storico compositore solista, la musica durante la pandemia non è stata solo un modo per mantenere un certo profilo pubblico e la fidelizzazione coi fan online. La musica gli ha salvato la vita.

Ward (517 Builder’s Edition, GT Urban Ash) è un’istituzione nella sua città, El Paso nel Texas. Ha una connessione molto profonda con la città, la sua scena musicale e perfino la sua cultura culinaria. Ward possiede infatti un ristorante a El Paso costretto a chiudere durante la pandemia. Da persona naturalmente connessa con la comunità, Ward afferma che gli eventi dei primi mesi di pandemia sono stati devastanti tanto per lui quanto per la gente intorno a lui.

“Abbiamo subito dovuto licenziare i dipendenti” spiega Ward, “una cosa molto bruta dal punto di vista emotivo e psicologico. La mia band, gli Sparta, aveva fatto uscire un disco ad aprile [2020], e mi diverte affermare che non se n’è accorto nessuno. Abbiamo annullato i tour e messo in cassa integrazione il personale, come tutti.”

Senza lo sfogo naturale dato dalla creazione, dice Ward, i primi giorni di pandemia sono stati i più difficili.

“Il lockdown ti segna come essere umano” afferma Ward, “specialmente se sei uno molto legato ai rapporti umani. È stato difficile tenere la testa a posto.”

Il chitarrista e compositore Jim Ward ci illustra i suoi pensieri su com’è stato affrontare la pandemia salvaguardando la sanità mentale nei mesi di lockdown.

Nonostante le restrizioni nei luoghi pubblici, Ward sapeva che mantenere la sanità mentale significava continuare a fare musica. Dedicandosi alla composizione, Ward si è distratto con una nuova serie di brani che in seguito sarebbero stati riuniti in Daggers, il suo nuovo album solista. Scrivere e creare l’album è stata una sorta di terapia, afferma. Una terapia che l’ha aiutato a gestire la sua sanità mentale e al contempo a espandere le sue abilità creative.

“Sono senz’altro migliorato come ingegnere, perché ero obbligato a occuparmi personalmente dell’ingegneria e della produzione dell’album, anche se ero abituato ad affidarmi a specialisti”, dice. “Quando gli strumenti che ti semplificano il lavoro scompaiono, sei costretto a imparare cose nuove. Ne sono uscito con un nuovo ethos di vita, tutto incentrato sul fai da te.”

Affidarsi alle proprie capacità va bene, ma ha dei limiti. Un conto è imparare nuove abilità musicali, ben altro discorso è tentare di soppiantare ogni forma di interazione e connessione sociale, soprattutto per una persona coinvolta nella comunità come Jim Ward. Impossibilitato a incontrare i fan nei live, Ward si è trovato a instaurare relazioni online, spesso con fan che non avrebbe mai conosciuto altrimenti. Ma questo non era limitato a chat su Instagram con fan in luoghi distanti come Australia o Russia. Ben presto, il desiderio di mantenere un certo senso di vicinanza ha portato Ward a istituire una nuova tradizione: una serie di dirette chiamata Friday Beers, una “birretta del venerdì” fatta di conversazioni inedite e mai provate tra Ward e un suo ospite musicale. Fino a oggi, gli ospiti di Friday Beers sono stati Rhett Miller, Nina Diaz, Patrick Carney dei Black Keys e Josh Homme dei Queens of the Stone Age.

Non si tratta di banali interviste con artisti che ruotano attorno a nuovi album, concerti in programma o ispirazione sulla composizione. Sono discussioni ponderate e spesso molto profonde in cui Ward e i suoi ospiti si aprono al pubblico da un punto di vista personale in un modo non raggiungibile in quei pochi minuti di familiarizzazione che si cerca di ottenere nei concerti. Ward sostiene che queste conversazioni sono state una rivelazione per lui, non solo perché l’hanno aiutato a superare l’isolamento, ma perché lo stesso effetto è stato riscontrato nel pubblico.

“Josh Homme è come un fratello maggiore per me. Abbiamo avuto una conversazione davvero profonda davanti a tante persone” ricorda Ward, “e ho ricevuto un sacco di messaggi stupendi dai fan, che si complimentavano per l’amicizia che ci lega. In realtà, molti di noi fanno musica per cercare di capire come sentirsi meglio. E quando il pubblico assiste a conversazioni di questo spessore, comincia a pensare: se lui si sente così, è normale se succede anche a me.

Ward ritiene che questa sia una particolarità della pandemia che perdurerà anche quando la vita tornerà a una parvenza di normalità. In un mondo ormai troppo abituato a vedere giovani artisti perdere il controllo, è diventato importante creare spazi che esortino all’onestà e all’autenticità. A tal proposito, Ward parla partendo da un’esperienza personale.

“Francamente ritengo che mi avrebbe aiutato molto, all’inizio della mia carriera, sentirmi dire è normale se ora non ti senti bene”, afferma. “Invece di continuare a dare bottiglie di vodka ai giovani artisti, forse sarebbe meglio prendercene cura standogli accanto.”

Domande e risposte: Oritsé

La popstar britannica approfitta dell’isolamento per imparare a suonare la chitarra

Read More

Il così e il cosà della composizione

Il panorama musicale odierno è in continuo mutamento. Un mutamento fomentato da comportamenti sociali sempre diversi, una crescente accessibilità alla nuova musica al fuori delle etichette discografiche tradizionali, e le conseguenze tangibili di una crisi sanitaria globale. Insider navigati e artisti emergenti ritengono che, di questi tempi, costruire o mantenere una carriera musicale significa essere disposti a guardare dentro se stessi: concentrarsi sull’arte in sé, scavare nel profondo ed esplorare territori creativi altrimenti inaccessibili. Sebbene semplifichino molto la possibilità di connettersi col pubblico e coi singoli fan, gli strumenti digitali di oggi non potranno mai sostituire il duro lavoro di tramutare semplici idee in vera musica, di trasmettere un messaggio univoco e al contempo universale. Un messaggio in grado di ispirare chiunque lo ascolti in ogni parte del mondo. Fortunatamente, una cosa che la pandemia ci ha svelato sulla musica contemporanea e su chi la crea è che il desiderio di creazione persiste e persisterà in ogni circostanza.